giovedì 19 maggio 2016
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CANNES Il romanzo morale dei fratelli Luc e Jean-Pierre Dardenne si arricchisce di un nuovo capitolo, il decimo, presentato ieri in concorso al Festival di Cannes, dal titolo La fille unconnue, che ruota intorno a una di quelle scelte etiche e personali di fronte alle quali si trovano sempre i personaggi creati dai due registi belgi. Questa una volta una giovane e scrupolosa dottoressa di Seraing, vicino Liegi, Jenny, un’ora dopo la fine del suo turno di lavoro è ancora nel suo ambulatorio, ma decide di non aprire la porta a chi ha appena suonato il citofono. Il giorno dopo scopre che la ragazza di origini africane trovata morta vicino a un canale è proprio la persona che aveva cercato di entrare. Nessuno sa a chi appartenga quel corpo, a nessuno sembra importare granché, e invece Jenny, con in mano la sua foto, comincia a cercare le persone che sono collegate a lei. Il film dunque, seppure troppo meccanico e artisticamente meno riuscito dei precedenti, affronta un tema forte come la necessità di assumersi delle responsabilità personali lì dove quelle collettive sembrano perdute. «Per noi Jenny è qualcuno che aggiusta, che sistema – dicono i Dardenne, sulla Croisette anche in veste di coproduttori di Pericle il nero di Stefano Mordini, domani al Certain Regard – e che con la sua determinazione ottiene che alcune persone confessino, dicendo la verità sul loro legame con la ragazza morta. Sono tutti un po’ responsabili, se non colpevoli, di quello che è accaduto». Ma i registi non amano fare della sociologia con i loro film, che nascono sempre dal desiderio di raccontare la storia di una persona. «Realizziamo storie che poi diventano proprietà degli spettatori, ognuno può leggerci quello che vuole. Non siamo interessati a dare messaggi scolpiti nella pietra, ma a seguire il percorso umano del singolo, che poi agli occhi del pubblico diventa lo strumento per analizzare i meccanismi dell’intera società». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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