domenica 19 luglio 2009
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La pratica di legare una campana al collo dei bovini è molto antica: è attestata nelle Alpi fin dall’epoca gallo-romana. Già nel 1464, il vescovo di Aosta si lamentava del disordine causato, durate il carnevale, da gruppi mascherati che assordavano i pacifici cittadini con dei tintinnabula vaccarum. Sempre in Valle d’Aosta, a partire dal XVI secolo, abbiamo numerose attestazioni di campanacci, carrals (carron), gorgoillons (sonagli). Sappiamo che nel 1616 Pantaleone Oreiller, originario di Cogne (o di Rhêmes?), si stabilisce a Bagnes, dove rileva una piccola fucina appartenente a un’anziana vedova, la sonnaillère de Sapey, in cui si fabbricavano già i sonagli. Pantaleone riorganizza la fucina e diventa il capostipite di generazioni di fabbri che, tra le altre cose, fabbricarono campanacci fin verso la metà del XX secolo. Nel 1829, a Chamonix, la famiglia Devouassoud apre il suo atelier dove si succederanno sei generazioni di fabbricanti di campanacci, i famosi Chamonix. I campanacci avevano dimensioni differenti e, in base al loro calibro, seguivano una numerazione che andava da 0 a 13. Sovente i fabbricanti erano specializzati e producevano solo alcuni numeri in funzione degli stampi di cui disponevano e delle preferenze dei clienti. Anche lo spessore dell’acciaio cambiava e aumentava in proporzione alla grandezza delle campane. La forma, rettangolare arrotondata, a volte quasi ovale cambiava da un artigiano all’altro: più o meno bombata, più o meno arrotondata sui lati, più o meno lunga. I fogli d’acciaio usati non erano espressamente concepiti per la fabbricazione delle campane. Così in partenza potevano presentare caratteristiche diverse e toccava all’artigiano trovare l’acciaio più adatto alle sue creazioni ed eventualmente integrarlo in corso d’opera. Il suono del campanaccio è determinato dalla sua forma e dal suo spessore. Le campane diritte hanno un suono basso, quelle svasate un suono chiaro, quelle intermedie sono chiamate semi-basse. Il carattere artigianale dell’opera fa sì che non ci possano essere due campanacci identici. Ne consegue che la scelta del campanaccio da parte dell’allevatore era un’operazione lunga e delicata, soprattutto se l’acquisto riguardava un sonaglio destinato alle grandi occasioni. Inoltre, il prezzo di un campanaccio di qualità era elevato rispetto al bilancio degli allevatori. Come il numero di mucche possedute, la qualità dei campanacci era un chiaro simbolo. Rivelava l’agiatezza e la competenza dell’allevatore, poiché un buon allevatore doveva conoscere non solo il bestiame, ma anche i campanacci. L’acquirente considerava la forma, il nome del fabbricante, la qualità dell’acciaio e, soprattutto, il suono. Il momento in cui l’artigiano scuoteva per la prima volta il campanaccio per sentirne il suono era uno dei più eccitanti della fabbricazione. Era la qualità del suono a fargli capire se il suo lavoro era riuscito. I campanacci erano conservati con cura. «Un contadino che ha cura dei suoi campanacci e li attacca solidamente sa fare bene il suo lavoro», dichiara un allevatore. Il campanaccio ha prima di tutto un’utilità pratica: permette al pastore di ritrovare rapidamente la mucca che cerca. Un buon pastore deve avere l’orecchio fine e sapere, all’occorrenza, riconoscere il suono di una campana nel concerto di una mandria scampanellante. E poi d’estate, all’alpeggio, quando le mucche rientrano dal pascolo la sera, è il suono del campanaccio che permette al pastore di ritrovare l’animale smarrito. E così anche quando la nebbia avvolge gli alti poggi. Il ritmo del tintinnìo, rapido, irregolare o lento può segnalare una mucca in difficoltà. In base al suono, si classificano i campanacci in maschili e femminili. Il suono maschile è duro, grezzo, ruvido, cupo, piacevole da sentire da vicino, è difficilmente avvertito da lontano; il suono femminile è più dolce, chiaro e va lontano. Un indovinello valdostano definisce il campanaccio eunna bagga que passe Dzouére sensa pon, «qualcosa che attraversa la Dora (il fiume) senza passare sul ponte» e il vero intenditore è colui che riconosce, da vicino, il suono di un campanaccio che va lontano. L’artigiano non scopre che alla fine del suo lavoro se il suono è maschile o femminile: è impossibile determinarlo in anticipo. Tuttavia, maschile e femminile sono entrambi apprezzati dagli allevatori: quel che importa è che il suono sia piacevole, musicale. La qualità del suono dipendente dalla qualità dell’acciaio, ma soprattutto dall’abilità del fabbricante, sovente dai segreti di cui è depositario. Ma anche a un fabbro abile può non riuscire un pezzo. Ogni allevatore mette insieme le campane per la sua mandria secondo i suoi gusti. La ricchezza e la varietà della batteria, che deve includere tutta la gamma, determinano l’armonia dell’orchestra. Quest’orchestra può suonare arie diverse: se la mandria è in marcia, se è al pascolo, se è concentrata o se è sparsa, se si è all’inizio della stagione, quando le mucche sono nervose, o alla fine, quando sono tranquille. Ma per un allevatore il suono del campanaccio ha anche un importante valore musicale, se non addirittura estetico. Giulio Pinet ci dice con un tono di voce sognante: «La mucca sembra più bella, più allegra; privata del campanaccio, è muta». Il suono di un buon campanaccio migliora con il tempo e con l’uso. Per questo, quando i sonagli rimangono per lungo tempo inattivi, gli allevatori più coscienziosi li agitano periodicamente per attivarne il suono. A Bagnes, i proprietari più attenti girano ogni anno i campanacci al collo delle mucche perché il battacchio non picchi sempre dallo stesso lato. La percezione del suono è legata anche alle condizioni meteorologiche: di notte, quando c’è nebbia o il tempo è umido, l’acustica è migliore, mentre è meno buona quando il caldo è torrido o c’è neve. Il suono dei campanacci assicura al pastore una specie di compagnia apprezzata in un ambiente solitario. E, secondo qualcuno, la musica dei campanacci favorisce la crescita dell’erba! I campanacci non sono apprezzati solo dagli uomini, ma anche dalle mucche. Tutte le mucche da latte portano un campanaccio. I vitelli possono portarne uno piccolo, e anche qualche manza. Ma non è una regola generale: possono anche avere il collo libero. La mucca va abituata progressivamente al campanaccio, sotto l’occhio vigile dell’allevatore. Una mucca che non è abituata può impazzire quando le si passa il campanaccio al collo. Ma generalmente le mucche imparano rapidamente, soprattutto le più belle, le più intelligenti, le regine! Non si deve levare la campana alla mucca se non è indispensabile: può ridurre la sua produzione di latte, se non addirittura provocare un’embolia, si dice. Quel che è certo è che una mucca senza campanaccio in una mandria che ne è dotata può scatenare l’aggressività delle altre, che tendono ad attaccarla e ad escluderla dal pascolo. Nulla di strano che nel corso di questi ultimi decenni i collezionisti di campanacci si siano moltiplicati. Si cercano i campanacci antichi, i più apprezzati, e si cerca di completare la serie con almeno un esemplare di ogni calibro. Per questo si procede a scambi, ad acquisti, sovente a prezzi esorbitanti. Così il mercato è sensibilmente falsato. Non è raro sentire parlare di furto di campanacci: si penetra negli chalet d’alpeggio, nelle stalle, persino nelle case. Si racconta l’avventura di una mucca che attraversando un bosco si era allontanata dalle altre e ne era uscita senza campanaccio: le era stato tagliato il collare mentre si sarebbe potuto sganciarglielo. Si dice che sovente questi furti sono compiuti su ordinazione. Oggetto di passione per i pastori, i campanacci sono diventati anche curiosità per i turisti che li acquistano come souvenir. Strano destino quello dei campanacci! Fino a ieri ornamento delle mucche all’alpeggio, musica familiare agli uomini delle Alpi che ritmava il loro lavoro quotidiano, spettacolo riservato ai privilegiati che si avventuravano sui sentieri di montagna per raggiungere le alte quote, i campanacci fanno parte ormai del bagaglio dei tifosi di calcio o sci e sottolineano con il loro tintinnìo le vittorie dei campioni. Hanno conosciuto fama internazionale da Nagano a Squaw-Valley, dal Giappone agli Stati Uniti. Ma in questi luoghi strani il loro concerto ha perso il ritmo e l’armonia che si sprigionano dalla mandria che scende dall’alpeggio. Sarà il prezzo della gloria?
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