«Il Teatro di Roma ha una storia complessa, a partire dai troppi direttori che ha cambiato: ne sento la responsabilità e il peso, che però non riducono il mio impegno e la mia determinazione nel suo rilancio». Antonio Calbi, classe 1963, dal 7 maggio nuovo direttore dello stabile romano dopo sette anni alla direzione del settore Spettacolo del Comune di Milano, parla dei suoi progetti alla vigilia di una stagione impegnativa, fra tagli di bilancio (ben un milione e 250mila euro in meno dai soci del teatro: Regione, Comune e Provincia) e tanta voglia di ripartire.
Direttore Calbi, lei arriva con un progetto ben preciso per il teatro della Capitale?«Quello del rilancio è l’obiettivo che ci siamo posti e che è necessario. Abbiamo concepito non una stagione di titoli bensì di progetti e di percorsi: fra gli altri un omaggio a Pasolini, a Eduardo De Filippo, a Shakespeare – del quale presentiamo ben dieci creazioni, una diversa dall’altra. Un progetto è dedicato ai “Teatri del Sacro”, ciclo nel quale presentiamo un omaggio a santa Teresa d’Avila interpretata da Pamela Villoresi».
Come gestirete le vostre sale, in particolare il Teatro Valle che vi è stato affidato dopo l’occupazione? «Le nostre tre sedi – Argentina, Valle, India – debbono diventare col tempo luoghi abitati l’intero giorno da artisti e cittadini, da tutte le arti e discipline: ecco perché accanto a quasi novanta titoli, con cinquecento alzate di sipario, ricco è anche il programma di appuntamenti culturali. Il Valle è uno dei teatri più belli della nazione, il nostro auspicio è che diventi un punto di riferimento della drammaturgia contemporanea di tutti i continenti».
Pochi giorni fa 1.111 autori e attori italiani hanno firmato un appello per sostenere la drammaturgia contemporanea... «Che avrà un ruolo centrale nella nostra programmazione. Vogliamo costruire una “tradizione del nuovo”, oltre a proporre i classici. Il teatro deve tornare appieno a parlare di noi, a emozionarci e farci pensare. Tra le novità da noi prodotte o sostenute, quelle di Lucia Calamaro, Patrizia Zappa Mulas, Andrea Carnevali, Ulderico Pesce (sul caso Moro), Saverio La Ruina, tre creazioni di Ricci/Forte, un
Amleto riscritto da Michele Santeramo. Tutto questo al Teatro India, mentre all’Argentina due Eduardo,
Le voci di dentro dei fratelli Servillo e
Natale in casa Cupiello diretto da Antonio Latella, la
Carmen di Martone,
Go Down, Moses di Romeo Castellucci, il
Sogno di Shakespeare riscritto da Botho Strauss e diretto da Peter Stein».
C’è molto made in Italy...«Le dirò di più: il nostro progetto bandiera è
Ritratto di una capitale. Ventiquattro scene di una giornata a Roma, ovvero uno spettacolo kolossal per numero di artisti coinvolti: più di settanta, di cui ventiquattro autori ai quali abbiamo chiesto di raccontare un luogo, un’ora, una storia della città. Fra gli altri Franca Valeri, Emanuele Trevi, Tommaso Pincio, Christian Raimo, Eleonora Danco, Ascanio Celestini, Valerio Magrelli, Andrea Rivera…».
Il Piccolo di Milano ha appena ottenuto l’autonomia per decreto dal ministro Franceschini. E voi?«Una riforma del teatro era tempo che venisse varata. Sarà un triennio di sperimentazione e di verifiche e sono certo che il panorama risulterà ridisegnato: troppi i rami secchi e troppe le anomalie. Personalmente di teatri nazionali ne immagino pochi, invece concorriamo in troppi, col rischio che si innovi poco. Sono felice per il riconoscimento di Teatro d’Europa al Piccolo di Milano. Il mio desiderio è che il Teatro di Roma sia non solo riconosciuto teatro nazionale, ma che lo diventi anche nei fatti. Ecco perché sono necessari investimenti e non tagli, come quelli che abbiamo subìto, dopo anni di sprechi in altri contesti. Come quello dell’Opera: lo sa che l’Opera di Roma ha beneficiato di venti milioni di euro dal Comune di Roma ogni anno per anni, quando il Regio di Torino ne prende appena quattro dal suo Comune, per un numero di alzate di sipario tre volte maggiore?».
Come spera di cambiare, allora, queste prospettive?«Ottimizzazione dei costi, risparmi, maggiore produttività complessiva, rimotivazione del personale, aumento dei ricavi al botteghino, coinvolgimento di partner privati, conquista di un pubblico più ampio e diversificato, messa al centro della vita civile e culturale delle nostre sedi. E soprattutto una richiesta agli enti pubblici e al ministero della Cultura che ci sostengono: non umiliare questo teatro ulteriormente. Il Teatro di Roma, di oggi e di domani, merita di più».