mercoledì 18 marzo 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Venticinque anni fa prese il volo, in una Sanremo che è rimasta nella memoria di tanti, nel cuore di molti, negli occhi color del cielo di Gianni Bugno, uno dei campioni più amati di sempre, che in carriera non ha mai guardato nessuno dall’alto in basso, anche se oggi - da elicotterista professionista - spesso osserva da una posizione privilegiata. In volo sulla Cipressa, prima di planare dolcemente in via Cavallotti, a Sanremo. Il campione monzese spiccò il volo proprio lì, in una delle corse più prestigiose e nobili del calendario. Una vittoria che gli cambiò la vita, proiettandolo in una nuova dimensione. Sulla Cipressa prese il largo, senza un pensiero preciso o una meta. «È andata proprio così», racconta oggi, 51 anni compiuti nel giorno di San Valentino, un lavoro di pilota di elicotteri e un ruolo di rappresentate mondiale dei corridori che ricopre da cinque anni. «Quando decido di scattare sul Cipressa lo faccio perché mi sento di farlo, perché la Sanremo si vince se cogli il momento, anche se non so dove sarei riuscito ad arrivare. Ricordo che era un 17 marzo, proprio come oggi, faceva molto freddo e c’era anche molto vento. Nei pressi della Certosa di Pavia il gruppo si spaccò in più tronconi. Nel primo una trentina di corridori, nel secondo un’ottantina. Poi i due gruppi si fusero e davanti restammo io, Saronni, Fondriest, Argentin, Golz e Sorensen, dietro il favoritissimo Fignon con Lemond e Kelly. L’ordine dalle ammiraglie era perentorio: avanti a tutta. A Imperia scatta Canzonieri, io gli vado dietro. Poi sulla Cipressa parto: tutto solo. Non ho nulla da perdere, tutto da guadagnare. Se fatico io, devono faticare anche loro per venirmi a riprendere. Invece non mi prenderanno...».Bugno, lei racconta la sua vittoria a Sanremo come se fosse la cosa più semplice della vita…«Ma non è stato nulla di eccezionale. Ho solo avuto tanta fortuna. Ho rischiato, perché la Sanremo non era una corsa che mi si addiceva, ma proprio per questo ero sereno. Ho avuto coraggio, sono stato bravo, ma ho avuto anche fortuna, mentre al Lombardia e alla Liegi, corse per le quali mi consideravo molto più tagliato, non ho mai ottenuto quello che avrei sperato».Perché?«Perché bisogna avere fortuna, come dicevo. Alla Sanremo, come al Fiandre mi è andato tutto bene, al Lombardia e alla Liegi sempre tutto storto».Questa corsa le ha poi spalancato le porte del Giro d’Italia: due mesi dopo lo ha vinto vestendo la maglia di leader dalla prima all’ultima tappa. Cose da Binda…«Se è per questo anche da Merckx. La vittoria nella Classicissima, come viene chiamata, mi ha dato consapevolezza e forza».Lei detiene ancora oggi la media più alta della Sanremo: 45,806...«C’era tanto vento a favore…».Domenica prossima la Sanremo torna di scena, chi è il suo favorito?«La Sanremo è bella perché la possono vincere in tanti, purché abbiano doti di resistenza: 300 chilometri non sono alla portata di tutti».Un nome?«Cavendish, Sagan, Kristoff, Cancellara….». Troppo facile così...«Allora dico Peter Sagan».Oggi lei è la... Camusso dei corridori: però non ha i modi da sindacalista?«Perché, che fanno i sindacalisti?».Alzano la voce, lei non l’ho mai sentita una volta gridare.«Io preferisco discutere».Come vede il ciclismo oggi?«Nel complesso benino. Per noi italiani, molto meno bene. È un peccato che i nostri corridori migliori, come Nibali e Aru, corrano per team stranieri».Perché lo fanno?«Il doping ha fatto scappare gli sponsor di casa nostra, ma oggi la musica è cambiata di parecchio. Il ciclismo da noi è uno degli sport più controllati e credibili in assoluto, questo va detto chiaramente».Il ciclismo ha fatto molto, ma chiede ancora di più ai corridori: controlli a sorpresa anche a notte fonda...«In verità è da anni che il regolamento lo consente, diciamo che saranno intensificati i controlli per quei corridori che sono considerati sospetti o "borderline". A me la cosa non piace molto, ma è un regolamento vigente, e devo dire che i corridori sono bravissimi a mettersi sempre a disposizione, pur di dire chiaro e forte che nessuno sport è più controllato e pulito del ciclismo. Oggi i furbi hanno poca vita».A proposito di vita, lei sta lottando per far introdurre dei limiti di "praticabilità" nelle corse ciclistiche. Se fa troppo caldo, se fa troppo freddo, se non ci sono le condizioni ambientali per garantire la sicurezza e l’incolumità dei corridori, le corse non devono neanche partire...«Ci stiamo lavorando proprio in questi giorni con la commissione strada dell’Uci. Sono allo studio degli accorgimenti che possano garantire i corridori ma che tutelino anche gli organizzatori. In Oman volevano farli correre a 50 gradi. I corridori, giustamente, si sono rifiutati. Ecco, non dobbiamo arrivare ogni volta a discutere i vari casi. La comunità scientifica deve creare un format da condividere. Il doping fa male. È mortale dal punto di vista morale, ma anche una corsa a -10°, su strade ghiacciate e innevate è pericolosa. Il ciclismo deve essere racconto, romanzo, ma non dell’orrore».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: