Sulla sua tomba nel Pantheon di Parigi, una semplice frase: «E fu la luce». Raramente una definizione è stata più appropriata. Louis Braille non è stato solo un inventore geniale, ma un apripista, il chiavistello per far uscire i ciechi dall’isolamento, un buio che rende ancora più scura l’ombra negli occhi. Grazie al suo sistema di lettura e scrittura tattile infatti milioni di persone hanno potuto incontrare un’immagine, illuminare un volto, scoprire le pagine fino ad allora «vietate» a chi non poteva vederle. Per la sua invenzione il figlio del sellaio di Coupvray, di cui quest’anno si celebra il bicentenario della nascita, prese le mosse da un’idea di Charles Barbier de La Serre, ex capitano di artiglieria che aveva realizzato un sistema per leggere al buio i messaggi cifrati. Si basava sulla combinazione di dodici punti incisi su un cartone. Lavorando giorno e notte su quel modello iniziale, preda di una sorta di irrefrenabile febbre, Braille riuscì a realizzare la sua «rivoluzione». Il nuovo alfabeto cui avrebbe dato il nome, si basava sull’uso di sei punti disposti su tre linee di due punti ciascuno. Ottenne così 64 «segni» in rilievo, sufficienti per coprire l’intero alfabeto. Malgrado le difficoltà iniziali, è nota la gelosia di Dufau il direttore dell’Istituto per ciechi dove Braille viveva, il nuovo metodo prese rapidamente piede trovando in breve applicazione anche per i calcoli aritmetici e nelle partiture musicali. Dopo il manuale del sistema (1829), nel 1837 vide la luce il primo libro scolastico, una storia di Francia in tre volumi, e nel 1878 il Congresso internazionale di Parigi dichiarò il Braille codice ufficiale di scrittura e lettura per non vedenti in tutti gli Stati. Anche una storia fatta solo di gioia e successi, l’ultimo è l’applicazione delle nuove tecnologie, ha però una sua zona grigia. Di quelle che zavorrano i tesori di cui non sappiamo più riconoscere l’eccezionalità. Il grido d’allarme è italiano: mancano traduttori, sempre meno persone sanno trascrivere in braille. «Non si tratta di un passaggio meccanico da un codice all’altro – spiega Cecilia Trinci responsabile tecnico della Stamperia Braille di Firenze, l’unico centro totalmente pubblico del nostro Paese –, ma di calibrarsi su un linguaggio che parla alla mano, non agli occhi . Ci vogliono conoscenze e competenze specifiche».Il problema riguarda tanto le professionalità che, soprattutto, le risorse economiche. «Mancando una formazione strutturata – prosegue Trinci –, la continuità viene garantita dal passaggio di competenze. Le "consegne", le capacità vengono trasferite da uno specialista all’altro in modo estemporaneo». Un processo «artigianale» che oggi è messo in crisi. «La Regione Toscana per attivare corsi di formazione, ha bisogno di posti di lavoro liberi. Che specie in questo tempo di crisi, non ci sono». A rischio sono soprattutto ruoli di altissima specializzazione, a cominciare dai musicisti-trascrittori. «Più che le persone – spiega Pietro Piscitelli presidente della Biblioteca italiana per ciechi Regina Margherita di Monza – mancano i fondi. Calcolando i centri collegati alla nostra struttura, in Italia si arriva a circa 300 trascrittori. Il problema è la mancanza delle risorse da destinare alla loro attività». Piscitelli elenca articoli di legge e commi. «Nel triennio in corso la finanziaria prevede, per la nostra Biblioteca, un taglio del 34% quest’anno, del 24% nel 2010 e del 42% nel 2011. Significa metterci in ginocchio». Per questo gli enti che lavorano per i ciechi avevano deciso una protesta ad oltranza dal 23 giugno a metà luglio. Misura che è stata sospesa. «Il governo si è impegnato a garantirci l’applicazione del comma che disciplina i centri qualificati come enti di assistenza, che sono esenti dai tagli. Aspetteremo fiduciosi fino a settembre, poi nel caso, faremo partire la protesta. Ad ogni modo i contributi alla Biblioteca nei primi 6 mesi del 2009 hanno subito un taglio del 34%. In un anno sarebbero 1milione 310mila euro in meno su un contributo totale di 4milioni». Per fronteggiare la crisi si pensa alla cassa integrazione per i dipendenti, 50 tra interni ed esterni, e a ridurre la produzione dei testi scolastici, sia in Braille che ingranditi per ipovedenti. «In mancanza di correzioni, circa 200 studenti rischiano di non avere libri su cui studiare». Proprio il servizio alla scuola è la voce principale della Biblioteca italiana per i ciechi, la più importante del nostro Paese, con un patrimonio librario di oltre 50mila titoli. «Siamo impegnati innanzitutto nell’integrazione scolastica dei nostri ragazzi, che portiamo avanti anche grazie a 16 centri di consulenza tiflodidattica (cioè riguardanti i non vedenti ndr). La scuola "normale" da sola non ce la fa». In mancanza di aiuti anche questi supporti rischiano la penalizzazione. «Nel nostro centro di Firenze – aggiunge la Trinci – lavorano dodici persone, realizziamo circa 200 mila pagine all’anno, dai testi scolastici alle mappe per l’accessibilità agli alberghi. Ci vorrebbe più personale, ma le assunzioni sono bloccate». E l’informatizzazione può risolvere solo in parte il problema. «Diciamo che integra il lavoro dell’uomo – spiega Trinci –. Il computer agevola ma non sostituisce la competenza del trascrittore, che deve per esempio decidere come organizzare la pagina, per renderla leggibile dalla mano». «L’informatica, i software – aggiunge Piscitelli – ci permettono di accelerare i tempi di trascrizione ma del Braille non si può fare a meno. Sarebbe come chiedere a un bambino di rinunciare alla penna per imparare a scrivere». Braille due secoli fa ha acceso una luce che guida ancora milioni di ciechi. Il problema è non farla spegnere.
Ritratto. Il ragazzo senza vista che insegnò a leggere con le dita Louis Braille nacque il 4 gennaio 1809 a Coupvray, piccola cittadina francese non lontana da Parigi. Il padre era un sellaio e proprio giocando nell’officina del padre, all’età di tre anni si ferì gravemente all’occhio sinistro. L’infezione che ne derivò gli fece perdere la vista da entrambi gli occhi. All’età di 10 anni venne accolto nell’Istituto dei Ciechi di Parigi fondato nel 1786 da Valentin Haüy, inventore tra l’altro di un rudimentale sistema di lettura tattile. Malgrado la vita nell’istituto non fosse per nulla semplice Louis si dimostrò sveglio, intelligente e socievole. Divenne anche un abile organista, tanto da essere spesso richiesto in varie chiese per le cerimonie religiose. Il primo progetto del suo rivoluzionario sistema di lettura e scrittura nacque dall’incontro con Charles Barbier de La Serre, un ex capitano di artiglieria che aveva realizzato un sistema per leggere al buio i messaggi cifrati. Nel 1829, intanto due anni prima era entrato nel corpo docente dell’Istituto, Louis completò la sua invenzione. Di lì a poco ideò anche un’estensione del metodo per la matematica ( Nemeth Braille) e per le note musicali ( Codice musicale Braille). Morì il 6 gennaio 1852, a 43 anni appena, vittima della tisi. Nel 1952 a un secolo esatto dalla morte, il suo corpo è stato trasferito nel Pantheon di Parigi, dove riposano i grandi di Francia. Malgrado la statura del personaggio non sono molte le sue biografie in italiano. Simpatico il volumetto per ragazzi di Jakob Street: « Louis Braille. Il ragazzo che leggeva con le dita » ( pagine 104, euro 9,30) edito da Filadelfia. ( R. Macc.)