«Ci piacerebbe molto che questo spettacolo lo vedesse papa Francesco, un uomo davvero contemporaneo, capace di aprire con semplicità e schiettezza un dialogo tra fede e ragione». Lo dicono all’unisono Alessandro Haber e Alessio Boni, prima di salire sul palco del Teatro Acacia di Napoli dove ieri sera hanno interpretato una delle primissime rappresentazioni de
Il visitatore di Éric-Emmanuel Schmitt, che vedrà il debutto in grande stile il 6 novembre al Teatro Franco Parenti di Milano cui segue tournée.I due attori si sono lanciati in quella che, a loro parere, «è una vera sfida. Portare i temi alti come la fede, il mistero, il destino a un pubblico il più ampio possibile», sfruttando anche la loro popolarità cinematografica e televisiva. Attraverso un faccia a faccia nientemeno che tra Freud e Dio. Sono loro i protagonisti del "duello" teatrale rappresentato sinora in ben 15 Paesi, dove Schmitt è considerato uno dei capisaldi del teatro contemporaneo, e qui curato dal regista Valerio Binasco, produzione Goldenart. «Io interpreto Freud alla fine della vita – racconta Haber –. Vecchio e malato, nella Vienna occupata dai nazisti nel 1938, lo psicanalista attende con ansia le notizie della figlia Anna portata via da un ufficiale della Gestapo. Quando ecco, che spunta dalla finestra un inaspettato visitatore. Potrebbe essere un malato, un pazzo, un barbone, ma Freud si rende conto di avere davanti Dio, quel Dio di cui ha sempre negato l’esistenza». Si avvia, così, un dialogo serrato, appassionato, le domande riguardano il senso della vita, ma anche il Male, incarnato in quel momento dal nazismo, con un linguaggio a tratti anche ironico e divertente che scava in fondo alle debolezze umane. «Le certezze di quest’uomo che con la sua intelligenza e il suo studio ha negato Dio per tutta la vita vanno sgretolandosi – aggiunge Haber –. Freud comincia a credere, anche se il finale resta a mio avviso aperto. A vincere è l’amore, la luce del bene che deve illuminare credenti e non credenti».Ad Alessio Boni, il non facile ruolo di interpretare Dio, attraverso una figura istrionica e vitale. «Il regista Binasco ha scelto di rappresentare questo Dio come uno di noi, come uno che si mescola alle nostre sofferenze, ai nostri dubbi, al nostro desiderio di assoluto – spiega appassionato l’attore bergamasco –. Ho aderito fortemente a questo progetto perché c’è bisogno di ritornare a interrogarsi sull’uomo in questo profondo momento di crisi, non solo economica, ma morale. Siamo fagocitati da una società che ci travolge con i suoi ritmi, che ci spinge a correre, lavorare e comprare senza lasciare il tempo per riflettere su chi siamo. Si resta in superficie, abbagliati da tronisti e <+corsivo>Grandi fratelli<+tondo> vari e soli davanti a un ipad o davanti a una consolle». «Questo è un testo che ti fa fare i conti con te stesso – spiega Boni –. Lo stesso Freud che credeva che la psicanalisi potesse dare risposte a tutto, senza contemplare il mistero, la spiritualità, il destino, qui comincia a guardare se stesso e ad aprirsi verso l’Alto. Sa qual è il vero problema del nostro secolo? La superbia. Da lì nascono tutti i mali».Il teatro, quindi, come ultimo palco su cui parlare dell’uomo con verità. Ne è convinto Boni. «Magari a teatro mi verrà a vedere qualcuno perché ho fatto
Caravaggio o
Tutti pazzi per amore. Ben venga: la mia intenzione è portarlo per mano a pensare alla sua vita, con un linguaggio intenso ma comprensibile a tutti». E per concludere, cita padre Turoldo: «Ai suoi allievi il primo giorno di scuola, la prima cosa che chiedeva era "chi vuoi diventare tu da grande?". Tutti gli rispondevano citando un mestiere, nessuno rispondeva quello che lui sperava: "Voglio diventare un uomo"».