I numeri parlano chiaro: con oltre 3 milioni di auto nuove vendute ogni anno, la Russia è il primo mercato europeo per il settore. Che per la prima volta nella storia ci sia anche una gara di Formula 1, domani sul nuovo tracciato di Sochi, è solo una logica conseguenza di una nazione che, anche nel mondo dei motori, vuol dire la sua. Il mercato russo, infatti, è appetibile non solo per i costruttori generalisti, che vendono buona parte di quei 3 milioni di veicoli all’anno, ma anche per i nuovi ricchi che intasano le concessionarie Ferrari, Porsche, Lamborghini, Bentley di Mosca. C’è, però, un altro aspetto importante legato alla Formula 1 che non può passare inosservato. Mentre le Olimpiadi si svolgono ogni quattro anni e vengono assegnate di volta in volta a varie nazioni, il Mondiale di F1 è l’unica vetrina internazionale, itinerante, che anno per anno può dare risalto e pubblicità a una nazione emergente. In Russia, per costruire il nuovo impianto di Sochi, hanno speso 150 milioni di euro, investiti in parte dalla neonata società Ojsc Omega Partner, creata apposta dal presidente Putin in collaborazione con la Fom di Bernie Ecclestone. Ma anni prima, oltre un decennio fa, in Cina per l’impianto di Shangai spesero molto di più e considerato quanto poco costa la mano d’opera cinese, si può dire che fu un’impresa titanica. Prima ancora, e parliamo degli albori, fu l’Ungheria a rompere il muro, prima che cadesse quello di Berlino. Era il 1986 e un tracciato alle porte di Budapest venne costruito apposta per ospitare un Gran Premio. Fu il primo nell’Europa dell’Est e fu il primo di una lunga serie di Gp in cui lo sport passava in secondo piano rispetto alla politica. Se qualche anno dopo il Gp d’Ungheria cadde il muro di Berlino, lo sdoganamento avvenne proprio nella capitale magiara, che ospitò un evento “capitalista” per eccellenza e che lo sfruttò per lanciare le bellezze paesaggistiche e turistiche dell’Ungheria, fino a quel momento conosciute da pochi. La stessa cosa accadde nel 1999, quando per la prima volta si andò a correre in Malesia. Qui le tigri economiche stavano crescendo a dismisura. La Petronas, colosso locale del petrolio, fece costruire le due famose torri di Kuala Lumpur, che per parecchi anni furono le più alte del mondo, e come biglietto da visita fu proprio il Gp, su un circuito costruito apposta a Sepang (altri 200 milioni di euro di investimento) a presentare al mondo intero la Malesia, la sua economia e la sua natura. Ironia della sorte, oggi proprio i malesi della Petronas sono i principali contestatori del Gp di Russia dopo l’abbattimento del volo Malesian Airlines a seguito del conflitto fra Russia e Ucraina. Era, invece, l’anno 2004 quando Bernie Ecclestone mise a segno altri due colpi di eccezione. Si disputò il primo Gp del Barhain e la F1 sbarcò nel golfo Persico, a dimostrazione che, oltre al petrolio, ci sono possibilità di investimenti finanziari di alto livello. Cosa confermata anni dopo, 2009, ad Abu Dhabi quando la Ferrari inaugura il parco tematico dedicato a Maranello, di contorno al circuito, costato 350 milioni di euro. Non è un caso che fondi di investimento di Abu Dhabi e Bahrain siano presenti non solo nella Ferrari ma anche nella McLaren e in altre attività di F1, vedi Aabar, il maggior costruttore edile di Dubai che fattura oltre 3mila miliardi di dollari e che sponsorizza la Lotus del magnate Lopez dando 800mila euro in contanti e il resto, circa 4,2 milioni di euro, in beni immobili che la Genii Capital utilizza per le proprie attività commerciali. Sempre nel 2004 la Cina ospita il primo Gp a Shangai, poi tocca alla Corea, gigante dell’auto e dell’elettronica (tv, computer e telefonini). Quindi la F1 sbarca in India, un mercato da 1 miliardo di abitanti, ma di cui 50 milioni sono ricchissimi e vogliosi di beni occidentali, auto di lusso in testa. Poi, il ritorno negli Usa, principale mercato mondiale, dopo la Cina, per le auto di lusso. E ancora Singapore, base finanziaria per moltissime società europee e non. Dopo la Russia, nel 2016 toccherà a Baku, Azerbaigian, con un tracciato cittadino e altri milioni investiti dal governo locale. Con un’audience mondiale di oltre 1,2 miliardi di spettatori, la F1 dimostra di essere il mezzo più economico e competitivo per far conoscere una nazione attraverso un evento sportivo. Per questo i governi locali investono soldi, molti meno che ospitare una volta sola un’Olimpiade, e con una durata maggiore per il ritorno di immagine internazionale. Questo spiega perché se fino a qualche anno fa su 18 gare, 13-14 erano in Europa e 4 erano extraeuropee, ora su un calendario di 20 gare, 13 si disputano fuori dall’Europa, i cui circuiti storici sono in crisi e rischiano di saltare uno dopo l’altro. Ora tocca alla Russia, dopo 30 anni di trattative, fallimenti e discussioni. Stavolta Putin ha fatto sul serio e Bernie Ecclestone lo ha accontentato.