giovedì 7 ottobre 2021
Il comico milanese Enrico Bertolino, 61 anni, attualmente si divie tra teatro e Radio 24

Il comico milanese Enrico Bertolino, 61 anni, attualmente si divie tra teatro e Radio 24

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Si può fare satira politica senza cadere nel becerame pioamedesco o nell’imitazione crozziana, o peggio ancora nell’apologia di partito a cinque stelle fondandone uno in cui gli adepti diventano per metamorfosi postkafkiana dei grillini? La riposta, osservando la carriera trentennale e gli ultimi ruggiti teatrali di Enrico Bertolino, è sì. Questo elegante britishman milanese, classe 1960, alla satira e allo spettacolo d’arte varia, di cui ha sondato praticamente tutto (cinema, radio, tv, teatro, cabaret e editoria) c’è arrivato con una laurea da bocconiano ed esperienze fatte sul campo, volando sulla tratta Milano-Londra, da manager in Marketing e Sviluppo Prodotti Finanziari. Perciò quando lo ascoltate, specie sulle frequenze di Radio 24 (al venerdì alle 13.20 all’interno di Effetto giorno e alla domenica dalle 9 alle 10 nel format Si può fare), non dovete meravigliarvi se il dottor Bertolino disquisisce con sicumera anche di economia, di sostenibilità e ambiente.

Da uomo di fede interista, possiamo dire che lei cambia più campi di gioco del suo Lautaro Martinez...

Mi diverto a saltare di palo in frasca. A me piace il vino buono e 'sua nasità' Luisìn Veronelli mi ha insegnato che è inutile bere per bere, devi sentire il retrogusto di un vino per capire se è davvero buono. Lo stesso vale per l’uomo di spettacolo, deve far sentire al pubblico il retrogusto della trasversalità.

Nella trasversalità rientra anche il suo approccio politico che trasmette direttamente dal palco senza però abusare del diritto di satira.

La satira gentile non funziona, la satira deve dare fastidio, ma io provengo da un’epoca in cui un politico di rango e con un’intelligenza del calibro di Giulio Andreotti non veniva neppure scalfito dalla satira di un gigante come Alighiero Noschese. Oggi quindi trovo inutile sparare a zero sui vari Toninelli o la Meloni. L’ultimo baluardo recettivo al gioco delle parti è stato Silvio Berlusconi, al quale però piaceva la parodia ma non gradiva la satira.

C’è un satiro per antonomasia, Beppe Grillo che ha fondato un partito, pardon un Movimento che comunque ha sparigliato le carte sul tavolo della politica.

Beppe ha fatto il salto, del re- sto da eterno insoddisfatto della cosa pubblica ha sempre osato. Ma ognuno fa la sua strada. Anche Daniele Luttazzi ha osato pesantemente offrendo poi il fianco, epurato in quanto comico talebano. Maurizio Crozza va di maschera, se la mette e se la toglie a piacimento. A me non piace l’affondo violento e ancor meno mascherarmi, mi sento più affine allo standupcomedy e in questo genere il migliore di tutti era Diego Abatantuono, che però – sorride – ora si è convertito al sitdown- comedy e lo standup gli piace farlo solo a tavola.

Il marchio di fabbrica di Bertolino invece è l’Instant Theatre.

È un’idea nata con Luca Bottura e il regista Massimo Navone che mi hanno detto: 'Enrico per come sei fatto tu non puoi andare a memoria'. Così abbiamo intrapreso la via dello storytelling in cui la narrazione teatrale incontra e approfondisce l’attualità. Ci pensavo ieri, sono già passati cinque anni da quando portai sul palco il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il suo sfidante di allora Stefano Parisi nello spettacolo Vota tu! (che a me vien da ridere) Ora che l’hanno rieletto con Sala possiamo replicare.

Il suo programma artistico si fonda sull’educazione civica spiegata al pubblico, parlando di politica e di leggi.

Al Teatro Brancaccio di Roma, una sera con il povero Stefano D’Orazio avevamo musicato gli articoli della Costituzione usando le canzoni dei Pooh. Così la gente li memorizzava sulle note di Tanta voglia di leio di Uomini soli...

Ha funzionato?

Funziona sempre, perché il pubblico diventa parte attiva dello spettacolo. In Perché boh – Guida comica allo sfruttamento della Costituzione sono riuscito ad appassionare lo spettatore al tema del referendum costituzionale. L’ho fatto interagendo con i fautori del 'Sì' come l’allora ministro Martina e con quelli del 'No', compreso Salvini che è salito sul palco. Salvini attore? Istrionico il suo successo sta nella perfetta percezione dell’epoca in cui viviamo... Non nascondo però che le mie 'spalle' ideali sono altre, tipo Enrico Letta, un galantuomo con il quale alla sua Scuola di Politiche abbiamo dialogato a tre, io lui e Romano Prodi.

Siamo ormai distanti dal teatro-cabaret da cui ha iniziato alla metà degli anni ’90 nel segno di Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello e Walter Chiari.

Per me quelli sono tre modelli inarrivabili, dei geni assoluti che da soli riempivano la scena. Mi ha sempre colpito il cinismo divertente di Raimondo Vianello, mai maleducato, ma sempre ispirato da profonda cattiveria. L’ho conosciuto a una partita di calcio benefica a San Siro e quando andai a chiedergli di fare una foto assieme Raimondo mi scrutò dall’alto in basso... Quando vide che anch’io ero in maglietta e calzoncini mi disse con il suo ghigno inconfondibile: 'Ah, giocavi anche tu? Non ti avevo visto!'

Tra i grandi mostri del cinema italiano può fregiarsi di aver lavorato anche con Alberto Sordi, in Incontri proibiti.

Ho amato tanto il comico, straordinario, ma adoro il Sordi drammatico di Un borghese piccolo piccolo, lì mi commuove fino alle lacrime. L’agenzia di allora, era il 1998, mi aveva proibito di fare quello che sarebbe stato il suo 192° e ultimo film. Ma io a una settimana di riprese al fianco del maestro Albertone non c’avrei rinunciato per nulla al mondo, e lo feci. Il film non era un granché, ma il backstage è stato come viaggiare dentro la storia del cinema. Ho provato le battute nella sua roulotte, con il suo storico sceneggiatore Rodolfo Sonego che si aggirava tra di noi. Pranzavamo assieme, Sordi mangiava beato in vestaglia rossa... Ho il ricordo di un uomo raro nella sua capacità di ascolto e dotato di una memoria invidiabile che ha mantenuto fino alla fine.

Quella memoria che adesso abbiamo affidato a questi piccoli apparecchi da cui comunichiamo...

Nel mio cellulare ho installato una app che mi dà la statistica di quante volte alla settimana l’uso per consultarlo: siamo a quota 400. La memoria vera si basa sulla lettura e io sono raccapricciato dal fatto che non vedo più uno che legga un giornale o un libro in treno o in metropolitana. Anche a teatro si mettono a guardare il cellulare al buio, ma lì è una responsabilità dell’attore che deve sapere accendere l’interesse dello spettatore e fargli spegnere quella scatoletta che spesso ci rapisce dalla riflessione e dalla capacità di sognare ad occhi aperti.

«Meglio fare il giornalista che lavorare» diceva Indro Montanelli, nel suo caso meglio fare l’attore...

Continuo a fare conferenze, ieri ero con il francescano fra’ Marcello Longhi e abbiamo disquisito di Parole, opere, opinioni. Non ho mai interrotto i miei corsi di formazione nelle aziende e lo faccio con lo spirito dell’anarcocapitalista che potrebbe vivere di bitcoin. Il mio credo: mai cadere nella sindrome dell’accumulo compulsivo di denaro, ma cercare di possederne quanto basta per vivere nella libertà di scegliere. Nel mio caso essere libero di realizzare progetti solidali come 'Vida a Pititinga' l’Associazione che da anni in Brasilie portiamo avanti con mia moglie Edna. E poi, libero di recitare, di scrivere libri, di fare Radio 24 o la televisione...

A proposito di tv, il phisique du rôle e la competenza calcistica ne farebbero il degno erede del Vianello conduttore di un nuovo Pressing.

Con Piccinini e Brandi ho fatto la trasmissione figlia di Pressing, Controcampo e mi sono reso conto che davvero il calcio è una religione, e se disgraziatamente ti bollano come “eretico”, ti vengono a prendere sotto casa. Vianello anche in quel tipo di conduzione si era espresso da fuoriclasse, da numero '10', io sono come Oriali – scusa Lele - , la mia è una vita da mediano.

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