sabato 29 febbraio 2020
Al Festival, premio come migliore attore a Germano per il Ligabue di Diritti e Orso d'argento per la sceneggiatura al bel film dei fratelli D'Innocenzo
Elio Germano ha vinto anche l'Orso d'argento come migliore attore

Elio Germano ha vinto anche l'Orso d'argento come migliore attore - Ansa/Epa

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L'Italia trionfa ancora una volta alla Berlinale 2020 e conquista ben due premi dopo aver sedotto il pubblico e la critica internazionali. Il miglior attore di questa edizione è infatti Elio Germano per Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, dove si cala con risultati strabilianti nei panni del pittore Antonio Ligabue. L’Orso si aggiunge così alla Palma vinta a Cannes nel 2010 per La nostra vita. Germano eguaglia due colleghi del calibro di Marcello Mastroianni e Gianmaria Volonté.

«Ringrazio tutti quelli che hanno contribuito a realizzare il film – ha detto Germano – perché è stato un lavoro molto duro. Dedico il film a tutti gli emarginati e ad Antonio Ligabue per la grande lezione che ha dato a tutti noi. A cinquant’anni prenderò la Coppa Volpi a Venezia e sono molto contento perché già il concorso era una vittoria. C’è una possibilità di una vita internazionale. Premi dati ai film anche quando dati agli attori, quindi ringrazio tutti, da Diritti ai truccatori, fino all’ultimo volontario». Germano è tra i protagonisti anche di Favolacce. «È un momento bellissimo per l’Italia, ho grande stima per i fratelli D’Innocenzo. Berlino ci porta fortuna e il cinema italiano sta tornando a dire la sua anche nel panorama internazionale anche in modo diverso. Cinema sincero, innovativo, libero nella sua diversità. Tutte l voci outsider devono poter raccontare con il loro punto di vista. Spero che nasca qualcosa che non cerca solo incassi e applausi, ma cerchi una strada personale. E parlo anche da spettatore». «Viviamo un contagio forte che sta facendo danni, ma sto parlando della paura, che si trasmette ancora più velocemente creando una psicosi devastante – continua Germano – . La paura è stata alimentata per diverse ragioni, sappiamo che è uno strumento per controllare i popoli. L’antidoto è sempre lo stesso, la conoscenza. Il cinema può aprire gli occhi delle persone, non deve solo distrarre. Dobbiamo cominciare a spegnere telefonini e televisori e aprire musei, accendere il cervello». Volevo nascondermi, fa sapere il produttore Carlo Degli Esposti uscirà il prima possibile nelle sale italiane anche per cercare per primi di «spezzare l’incantesimo Coronavirus».

Il premio per la sceneggiatura va poi a Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (nelle sale dal 16 aprile con Vision), uno dei film più amati di questa edizione. «Abbiamo scritto la sceneggiatura quando eravamo molto giovani – dice Fabio – siamo commossi, ma vogliamo ringraziare il cast del film e in particolare i bambini. Dedico il premio alla mia famiglia e a mio fratello». «Anch’io dedico il premio a mio fratello - aggiunge Damiamo – e alla produttrice TIziana Soudani». «Ci aspettavamo di vincere esattamente questo premio – dice ancora Fabio – perché abbiamo scritto una storia innovativa, che parla a tutti, è piena di inventiva, di rabbia e voglia di emergere».

Vince il 70° Festival di Berlino il bellissimo There Is No Evil di Mohammed Rasoulof, storia di morte e compassione che riflette sulla responsabilità personale, le scelte che ognuno di noi è chiamato a compiere e le loro conseguenze. Parola alla figlia del regista, Baran: «Il premio è per un regista che avrebbe dovuto essere qui stasera. L’Orso d’oro è tutto per lui». E i produttori aggiungono: «Sfortunatamente Mohammed non ha la possibilità di lasciare il paese ed essere qui con noi. Ringrazio il cast e la troupe che hanno rischiato la vita per realizzare il film». In sala si alzano tutti per una standing ovation e molte sono le lacrime, non solo sul palco, ma anche in platea. «Nessuna dittatura può fermare l’immaginazione e l’amore. L’Orso finirà nelle mani di Mahammed che saprà così di non essere solo, porteremo il premio all’Iran e dimostreremo al mondo che siamo un popolo pacifico, bello e pieno d’amore per il prossimo». Miglior regista è il coreano Hong Sangsoo per The Woman Who Run, film fatto di poche parole, gesti minimi, molti silenzi e sguardi intensi mentre il Gran Premio della Giuria va a Never Barely Sometimes Always dell’americana Eliza Hittman, storia di una 17enne alle prese con violenze domestiche difficili da confessare. La tedesca Paula Beer vince poi come migliore attrice per Undine di Christian Petzold, fiaba metropolitana d’amore e morte ambientata a Berlino. L’Orso d’argento speciale va a Delete History di Benoit Delépine e Gustave Kervern, racconto tragicomico delle ossessioni del XXI secolo e del perverso uso di internet e dei cellulari. Contributo per la migliore fotografia a Dau. Natascha, il controverso esperimento politico e artistico, del regista russo Ilya contestato in patria per le violenze fisiche e psicologiche alle quale sottoporrebbe i suoi non attori.

Il miglior documentario è lo scioccante Irradiates di Rithy Panh che rievoca i massacri del Novecento con immagini di insostenibile durezza. «È un film difficile, lo so – commenta il regista cambogiano sul palco – che dimostra quello che gli uomini sono capaci di fare ad altri uomini. Dedico questo lavoro a chi ci ha lasciato e chi ha resistito. Oggi siamo qui per parlare e difendere la libertà di tutti noi». Una menzione speciale va invece a Notes from the Underworld di Tizza Covi e Rainer Frimmel.


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