Gianni Berengo Gardin nel doc "Il ragazzo con la Leica"
Un viaggio sui suoi passi e sui suoi scatti. I luoghi e i ricordi di una vita. Quella di Gianni Berengo Gardin, Il ragazzo con la Leica, che Daniele Cini e Claudia Pampinella raccontano nel documentario realizzato per Talpa Produzioni che andrà in onda venerdì, 30 aprile, su Rai 5, alle 21.15 all’interno del programma Art Night. Realizzato in collaborazione con Rai Cultura e con il sostegno del MiC Direzione Generale Cinema e Audiovisivo il documentario racconta sei decenni di storia italiana attraverso le immagini di Berengo Gardin: oltre 100 fotografie e contributi video tratti dai più prestigiosi archivi italiani e francesi fanno da fil rouge a questo cammino nel tempo e nello spazio di Berengo Gardin e dell’Italia, dagli anni ‘50 fino a oggi, seguendo il percorso che ha portato alla stesura dell’autobiografia del grande fotografo che la figlia Susanna Berengo Gardin ha scritto con lui in occasione dei suoi 90 anni: Gianni Berengo Gardin. In parole povere (edito da Contrasto).
Berengo Gardin ricostruisce la genesi delle foto più celebri nei luoghi e nel punto esatto in cui sono stati catturati. Dai primi scatti veneziani e parigini negli anni ’50 all’esperienza de Il Mondo di Pannunzio e subito dopo al Touring Club Italiano. Dalla collaborazione con l’Olivetti ai suoi primi reportage sociali alla fine dei ’60: i migranti in Stazione Centrale a Milano e i manicomi in collaborazione con Franco Basaglia. Dall’esperienza di Luzzara con Zavattini nei ’70, fino al sodalizio con Renzo Piano negli anni ’80, nei suoi cantieri, a Genova e nel mondo. Dall’Italia fotografata dal treno con Ferdinando Scianna e Roberto Koch alla “Disperata allegria degli zingari” negli anni ’90, fino alle risaie del Vercellese nel 2000. Infine l’ultima sua grande battaglia civile contro le Grandi Navi ritornando a Venezia, negli anni ’10 di questo millennio.
Lo fa accompagnato dalla figlia Susanna, preziosa custode ormai del suo archivio gestito dalla Fondazione Forma per la Fotografia. Così Il ragazzo con la Leica diventa anche la narrazione del rapporto tra un padre e una figlia: i conflitti, i disvelamenti, gli incontri. Un racconto emozionante e intimo. Come il libro da cui prende spunto il documentario, dove il fotografo per la prima volta apre il diaframma del suo cuore, oltre le immagini, per raccontarsi "in parole povere", come non aveva mai fatto. Il libro più difficile degli oltre 250 che ci ha regalati nella sua carriera, che svela l'uomo dietro la macchina fotografica. «Come mio padre ripete spesso - annotava Susanna Berengo Gardin - la macchina fotografica è stata lo strumento che ha scelto per raccontare e raccontarsi. Un'affermazione che si è rivelata tanto più vera nel momento in sui si è trattato di farlo sedere su un divano e costringerlo a ripercorrere la sua vita davanti al registratore...».
Ora Berengo Gardin si racconta in video, nell'anno della pandemia. Viaggiando nei luoghi della sua vita. «Tornare sui luoghi serve sicuramente a riaccendere la memoria», osserva Susanna. Una rosa di amici e testimoni del suo tempo, tracciano il ritratto del fotografo e dell’uomo, contribuendo ad arricchirne il profilo e la storia di vita: dal fotografo Ferdinando Scianna all’editore Roberto Koch fino all’architetto Renzo Piano. È proprio di Piano una “massima” che Gianni Berengo Gardin usa quando vuole rendere l’idea dell’unicità della fotografia: «Se si ha la pazienza di aspettare passa sempre qualcuno, o qualcosa». «E se succede – aggiunge - è bellissimo. Perché la foto non la fai te, la fa la gente che passa». L’archivio di Berengo Gardin si compone di oltre due milioni di scatti. Ci sono i luoghi e la gente che ha visto passare, con un occhio attento e curioso, sempre sensibile all’umanità. Un patrimonio immenso per raccontare chi siamo, come siamo cambiati nel tempo e nella storia. Ieri e oggi, perché dall’alto dei suoi 90 anni, il ragazzo con la Leica continua a fotografare. «È come se il tempo non fosse mai passato – confessa alla fine Susanna –:mio padre è sempre il ragazzo con la macchina fotografica al collo».