Un batteria dei preliminari dei 100 metri. A destra il maltese Beppe Grillo - Ansa
Non si può mancare quando in pista scende Beppe Grillo. Assurdo distrarsi quando Maleselo Fufofuka, giovane eroe di Tonga, si butta sul traguardo. Bisogna esserci quando l’Olimpiade si sposta per far passare quelli che non arriveranno mai sul podio, ma ci provano comunque. Dieci secondi di gloria, per qualcuno tredici. Perché loro ci mettono di più. E’ questo lo spazio di una vita, il senso di una corsa infinita, lo spirito dei Giochi.
I campioni? Quelli si alzano tardi: loro arrivano dopo. Sono le 10.30 del mattino quando un afgano, un rappresentante di Timor Est, uno che arriva da Tuvalu, l’isola più sconosciuta del pianeta, un malesiano e un atleta della Guinea Bissau si piegano sui blocchi di partenza dei 100 metri. Ma lo Stade de France lo sa che ne vale la pena. E infatti è pieno, e parte la ola. C’è un nome grosso, finito quasi incomprensibilmente in questo turno preliminare: il gambiano Ebrahima Camara, che ha corso un ottimo 9.98 in stagione e deve sobbarcarsi questo turno in più insieme ad atleti mai scesi sotto i 10’’30 come i rappresentanti di Malesia, Singapore, Afghanistan, Guinea Bissau, Isole Marshall. Sono atleti di bassa caratura e provenienti da piccoli Paesi, ai margini dell’universo sportivo e totalmente sconosciuti anche da chi mastica atletica. Sono previste sei batterie, si qualificano i primi due di ciascuna serie e i migliori quattro tempi. Tutti legati da un destino comune: verranno triturati nelle batterie, quando comincerà un altro campionato, abitato dagli sprinter veri: giamaicani e americani rampanti, africani emergenti, un certo Marcell Jacobs, medaglia d’oro in carica.
Aspettando le stelle, ci sono loro. Quanta speranza. Quanta sofferenza e coraggio. Karalo Hepoiteloto Maibuca, 25 enne nato sulla micro isola corallina di Nanumanga, chiude in 11”30, un tempo alto anche per le donne, ma è bellissimo così. A Tokyo 2020 era stato il fiero portabandiera dell’arcipelago di Tuvalo: ora ha chiuso il suo cerchio. Nella seconda batteria c’è Davonte Howell dalle Isole Cayman con uno stagionale di 10’’10, pronto a sfidare uomini da tutto il mondo: uno dal Mozambico, uno da eSwatini (l’ex Swaziland che ha cambiato nome), uno dalla Repubblica Centroafricana, uno dal Benin, uno da Kiribatu (Oceania), uno da Montenegro. Sono l'opposto dei superuomini della velocità. Muscoli sottili, divise che sembrano acquistate in saldo al supermercato. E perdono in un altro modo: «Che emozione avere tanti fotografi davanti: a me di foto a casa ne fanno al massimo due all’anno», dice Lalu Muhammad che arriva dall’Indonesia.
Lo scopriamo in fretta, senza poterle parlare per più di un minuto nel ventre dello stadio, perchè queste sono le regole, e non sono ammesse eccezioni nemmeno per fare un po’ di luce su esistenze buie. Le Olimpiadi le colorano per un attimo: passi corti, cento metri di strada appena, ma è già qualcosa. Loro dei fuoriclasse della pista però riproducono la straordinaria volontà. Che nella vita si traduce in fuga, nello sport in velocità. Non hanno il talento dei primatisti. Corrono i 100 e i 200 metri. Ogni tanto buttano un occhio ai 400. Qualche volta al salto in lungo. Vorrebbero essere altri figli del vento. Poi si accontentano di essere figli della brezza.
I più teneri sono quelli che arrivano dall’Africa. «Alleniamo testa e corpo. Scatti, salite e riflessioni. Leggiamo tanto: da Roth a Mandela», dicono. E poi ci sono i sogni appesi alle pareti. Come poster d’infanzia. Sogni in cui sprintano per una terra ormai lontana. Perché non sono del tutto peones: molti ora vivono, studiano e si allenano negli Stati Uniti. Uno spot per tutti i diseredati dello sport. O degli sradicati per necessità.
Nello Zimbabwe l'aspettativa di vita per un uomo non supera i 37 anni, per le donne non arriva nemmeno a 34. Assurdo pensare di poter sprecare energie per allenarsi. Ci sono persone, nello Zimbabwe, che pagano il medico con le noccioline. Fare sport ad alto livello è una via di mezza fra la pazzia e il lusso. Poi però arriva l’Olimpiade. E per qualcuno è il treno della vita, la fermata che ti porta in cielo. Nello Zimbabwe non l'avrebbero mai avuto. Ma nemmeno un blocco da cui provare le partenze. Nemmeno una scarpa con i chiodi sulla quale poter spingere senza rischiare di cedere alla forza centrifuga in curva. Nello Zimbabwe vivono 12 milioni di persone. E ci sono soltanto tre piste regolamentari, di cui due ad Harare, la capitale.
Poi arriva anche chi non ti aspetti. In sesta e ultima serie, corre fiero in 10”69 tale Beppe Grillo, sprinter di Malta: fedele alla linea di partito dell’omonimo leader politico italiano, corre, finisce, esce e non parla con nessuno. Anzi, non alza nemmeno lo sguardo. «Ma come no?». Gli si chiede esterrefatti: hai una manciata di secondi di gloria e te ne vai? Allora bisogna scavare nel computer dei Giochi per sapere. Aprire la sua scheda personale, riannodare il filo che ti porta a un volto, una storia. Grillo Beppe non somiglia per nulla a quello che conosciamo: capelli biondi con codini rasta sopra un metro e 78 di altezza. Lontane origini siciliane dal bisnonno paterno, quest’anno aveva corso in 10''23 stabilendo il suo record personale. Ieri ha chiuso al quinto posto: eliminato e muto. Peccato: avrebbe vinto la sua Olimpiade solo raccontando chi era. Ci sarà un’altra occasione, forse. Mai dire mai.
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