Il giro del mondo in sette partite. David Beckham ha scelto un modo decisamente originale per festeggiare i suoi dieci anni da ambasciatore dell’Unicef. Ha preso jeans e pallone ed è andato a sfidare i ragazzini sui campetti improvvisati di tutti i continenti, che per gli inglesi sono appunto sette e non cinque: nella lista ci sono anche l’Antartide e l’America che vale doppio, Nord e Sud. La spedizione, immancabilmente “hastaggata” #LoveofTheGame, è documentata su Facebook e Instagram, in attesa di diventare un documentario per la Bbc. Ma guai ridurla a campagna virtuale, perché quella di David è un’avventura molto reale, da vero globe-trotter del football. Suggestiva e romantica la rotta: niente megastadi, bensì rettangoli disegnati in periferie o luoghi remoti, dove il calcio riesce a mettere radici nonostante le condizioni estreme. Un viaggio alla scoperta della forza vitale che si nasconde misteriosamente nel gioco più bello del mondo, lontano dagli eccessi del professionismo che finiscono per inaridire la passione.Lo “Spice Boy”, calciatore icona dello sport moderno dai tempi del film
Sognando Beckham ha voluto dimostrare di non essere un eroe di plastica sporcandosi di polvere, neve e fango, solo per il gusto di inseguire un pallone ai quattro angoli della Terra.Il ragazzo di Manchester, che oggi ha 40 anni e 4 figli, ha cominciato il suo tour da Papua Nuova Guinea, dove gli indigeni gli hanno spiegato come fabbricare una palla con le foglie di banano. Poi ha fatto un salto in Nepal, a Bhaktapur, per cimentarsi in una partita in piazza con gli alunni di una scuola distrutta dal devastante terremoto dello scorso aprile. Quindi è volato nel deserto di Gibuti, nel Corno d’Africa, per una sfida al tramonto su un campo improvvisato dove, poco prima del fischio d’inizio, pascolavano beatamente le capre. Una meta scelta non a caso: Beckham ha fatto visita al campo profughi di Ali Addeh, dove vivono 10 mila rifugiati somali ed eritrei, tra cui donne e bambini. «Come padre sono rimasto colpito al cuore», ha commentato prima di risalire sull’aereo, destinazione Buenos Aires.Al suo arrivo, l’ex capitano della “nemica” nazionale inglese (vedi guerra e la contesa storica delle Isole Falkland) è stato travolto dall’affetto della gente del Barrio Villa 1-11-14, uno dei più poveri e degradati della capitale argentina. Autografi, selfie, sorrisi per tutti. Poi Beckham ha indossato a sorpresa una maglia albiceleste, grattando via in un attimo la ruggine post Falkland che ancora corrode i rapporti tra le due nazioni. Sullo sfondo di un enorme murales dedicato a papa Francesco, l’ex campione si è esibito in dribbling e tiri di destro - specialità della casa - in mezzo ai “nipotini” di Tevez e Maradona. Nessuno ha avuto voglia di ricordarsi del fallo su Simeone al Mondiale ’98, che costò il cartellino rosso al buon David. Salutata l’Argentina, l’ex numero “7” dei Red Devils è migrato a Sud, che più di così non si può. Tappa in Antartide, per un’emozionante quanto surreale sfida tra i ghiacci, in cuffia e giubbotto.Dal freddo al tepore di Miami, per quattro calci tra spiagge e grattacieli. L’ultimo atto del periplo di David andrà in scena domani sera all’Old Trafford, il “teatro dei sogni” acceso ad illuminare una delle sue stelle più belle. Non poteva essere altrimenti: l’impresa finirà là dove tutto ebbe inizio. Beckham guiderà i suoi vecchi compagni dello United contro il Resto del Mondo capitanato da Zinedine Zidane. L’incasso ovviamente sarà devoluto in beneficenza all’Unicef. «Da tempo cullavo questa idea, ma non credevo diventasse realtà - aveva detto l’ex fuoriclasse prima della partenza - in tanti anni da giocatore o da ambasciatore Unicef ho visto come lo sport può migliorare la vita della gente. Con questo viaggio potrò mostrare il lato positivo del calcio». Missione compiuta, caro vecchio “Spice David”.