il cruccio dell’uomo da sempre: la ricerca della felicità. Non a caso si sono arrovellati tutti i grandi pensatori dell’antichità, da Aristotele a Seneca, da Agostino a Tommaso d’Aquino. Ma è una questione che tiene banco anche oggi. Basta guardare solo ai tanti (decisamente troppi) volumi che invadono le librerie promettendo un benessere fai da te, vago ed effimero, in cui spesso la felicità fa rima con banalità. Di taglio nettamente diverso sono due saggi, Ti penso positivo. #lafelicità è una scelta (Paoline, pagine 320, euro 16) e l’ultimo, Un sorriso prima di tutto. 101 idee per illuminare la nostra vita (San Paolo, pagine 144, euro 14) scritti da Mimmo Armiento, appassionato psicologo e psicoterapeuta. Sono testi che, pur dietro un’apparente leggerezza, nascondono un lavoro di recupero della grande tradizione della Chiesa in merito all’introspezione dell’animo umano. Esponente della psicologia positiva in Italia, Armiento è anche tra i promotori del Laboratorio di psicologia cristiana che si tiene ogni anno ad Assisi.
Eppure lei si rivolge soprattutto a chi non crede.
Avere Dio come riferimento è necessario per la nostra felicità. Ed è una felicità a cui anche il non credente può aspirare, riconoscendo che Dio è in ogni cosa che reputa vera e buona. La nostra ragione se non viene offuscata da pregiudizi porta al Creatore. Già restare incantati davanti a ciò che esiste significa affermare Dio. È un’esperienza che facciamo sin da bambini.
In che senso?
A cinque-sei anni capisci che non sei al mondo come un pezzo del corpo di tua madre o di tuo padre. Quando dici “io” ti accorgi che questo io precede quello dei tuoi genitori. E puoi avere l’intuizione che se esisti è perché qualcuno ti ha voluto, percepisci la tua esistenza come dono e non come casualità.
È un orizzonte negato anche dalla sua disciplina, tant’è che lei sostiene come sia sempre più necessario passare da una psicologia positivista a una positiva.
La psicologia positivista ha ridotto l’uomo a organismo animale, evolutosi per caso e necessità. Mentre la psicologia positiva, fondata venti anni fa negli Stati Uniti da Martin Seligman, non esclude in modo aprioristico la dimensione morale e spirituale. Prevale una visione della felicità così come era definita dai Greci: eudaimonia, cioè seguire il proprio “angelo” buono, la propria voce buona dentro la coscienza. E quando parliamo di coscienza non intendiamo solo la coscienza che abbiamo degli altri, ma anche la coscienza di un Altro da cui proveniamo.
Che cosa rende felici le persone secondo la psicologia positiva?
Il giudizio di felicità sulla propria vita non viene solo da fattori edonistici come per esempio quanto è stata piacevole la giornata, ma anche se ha avuto senso, se ho fatto qualcosa di buono o se ho fatto il mio dovere. L’eudaimonia è una benedizione che sento dentro. Se io sono gentile con qualcuno e quella persona mi ringrazia io interiorizzo la sua bene-dizione, mi sento contento. Se ho fatto il mio dovere, ho lavorato tanto e torno a casa, mi sento dentro una benedizione perché è come se avessi rispettato quell’indicazione di bene che avvertivo nella coscienza.
È un discorso che tira in ballo le virtù.
Certo, la virtù rende felici. Non a caso Socrate diceva che è più felice chi subisce un’ingiustizia rispetto a chi la fa, perché chi la subisce non perde una benedizione interiore mentre chi la fa ha la disapprovazione della propria coscienza. E questo è coerente con la preghiera perché quando entri in contatto con l’assoluto ti senti benedetto dentro. La preghiera ci rende felici proprio perché interiorizziamo una benedizione.
Sembra tutto facile. Eppure non basta un clic per essere felici.
Infatti la felicità è qualcosa di semplice ma non facile. È una scelta, spesso coraggiosa. A volte eroica, come la felicità di chi fa il proprio dovere magari entrando nelle fiamme per salvare qualcuno. O semplicemente scegliendo, non sempre di cambiare lavoro, ma sicuramente di cambiare il modo in cui lo si vive. Accorgendoti del bene che fai intorno a te facendo col cuore il tuo lavoro.
Dal time-out per evitare che una discussione degeneri alla serata cinema in famiglia: il suo libro è una dispensa di semplici suggerimenti per essere felici. Ma si intuisce che uno dei segreti per vivere con gioia è essere grati per ciò che siamo.
Le ricerche di Robert Emmons confermano che le persone con un atteggiamento di gratitudine sono anche quelle che si dichiarano più felici. Gratitudine non solo verso gli altri o verso sé stessi, ma anche nei confronti degli eventi della vita. Ma essere grati presuppone Qualcuno verso cui essere riconoscente.
All’origine di tutto per lei c’è un sorriso.
Nasciamo tutti da un sorriso. Quello con cui mamma e papà si sono incontrati. Se siamo qui ora è perché un uomo e una donna, si sono sorrisi e ci hanno sorriso! E quanto più è stato autentico il loro sorriso, tanto più è luminoso il sorriso che ci portiamo dentro. Felice è l’uomo che intuisce di non essere più solo figlio del sorriso dei suoi genitori, ma anche del sorriso più bello, quello di Dio.
Nei suoi libri felicità è sinonimo di nuzialità. Con sua moglie ha fondato un’associazione, Ingannevole come l’amore, con cui gira l’Italia per testimoniare la bellezza del matrimonio.
Nessuno è felice se non può dire grazie a qualcuno o se non può donarsi gratuitamente a qualcuno. Nessuno può essere felice da solo. Anche se vinco al Superenalotto non sarei davvero contento se non avessi qualcuno con cui condividere questa gioia. La felicità poi è sempre un incontro nuziale. Con mia moglie e altre coppie di sposi da otto anni portiamo avanti degli incontri formazione per single o sposati. Un’iniziativa che solo grazie al passaparola ci ha permesso di incontrare migliaia di persone. Vogliamo solo condividere una bellezza che spesso non si vede: la felicità in famiglia. Oggi “amore” è la parola più ingannevole. In questa cultura relativista presumiamo già di sapere cosa sia. Ma l’amore ha le sue leggi. Se le rispetti diventa gioia, altrimenti hai chiamato amore qualche altra cosa, una trasgressione o una dipendenza. Nell’amore di un uomo e una donna c’è il senso vero dell’amore: passione, appartenenza, scelta dell’altro nella sua insostituibilità, rispetto della sua unicità.
Uno dei cardini della sua psicologia è «vivere la vita come una missione».
Nessuno cammina perché ha le gambe e nessuno mangia semplicemente perché ha fame, ma se ha una ragione per camminare e per mangiare. La psicologia positiva ci conferma che è felice chi trascende se stesso verso qualcosa più grande di lui, chi riconosce nella propria vita un senso, una mission da compiere, un donarsi a un bene più grande anche nel realizzare i propri talenti.
Perché la felicità di cui parla è qualcosa che non finirà?
Perfino Nietzsche ha ammesso che un piacere per essere gustato ha bisogno d’eternità. Come possiamo godere davvero di un bene se abbiamo paura che ci sfugga tra le mani come il tempo? Per gustare davvero un attimo di bene abbiamo bisogno di sapere che il Bene è eterno. La vita felice è sentirsi svegliati da una mission da compiere. È vivere questo giorno, il mio giorno, non come se fosse l’ultimo ma come se fosse il primo di una vita spalancata sull’eternità.