i tre cantautori della “scuola romana” Bassignano, De Gregori e Venditti
Per produrre cose belle c’è bisogno delle giuste condizioni, ma il mondo della discografia in Italia, per ciò che riguarda i prodotti che aspirino ad avere un minimo di intima raffinatezza, non attraversa un periodo favorevole. Bisogna urlare, e c’è chi di urlare proprio non ha voglia. Ecco allora che assume grande preziosità il disco di Ernesto Bassignano, Soldati, Arlecchini e Pierrot, il suo decimo album in studio, da poco uscito. Lui è uno dei nostri cantautori storici, un capostipite della canzone italiana. Il disco è fatto di canzoni pastose, scritte con cuore e quel che basta del mestiere. Parlano dei nostri tempi ma partono da lontano, nella tavolozza variopinta dei personaggi che danno il titolo al lavoro: rimane nella storia pur rappresentando la farsa del presente, con l’animo nostalgico di chi ha vissuto un’età a cento all’ora ma non abbassa la testa alla rassegnazione.
L’album è stato pensato e scritto durante la clausura del marzo 2020, e contiene alcuni ritratti a doppio fondo. Si parte da una canzone dedicata ad Alda Merini, E Alda lo sa, che rende eterne alcune caratteristiche della poetessa, e scivola via leggero nei brani A Furore, Modì, È Tempo e Ben venga maggio, quasi a rappresentare il tempo andato sotto vari punti di vista, tanto negli occhi inafferrabili di Modigliani, quanto nella verace popolarità di Caterina Bueno. Poi due canzoni in cui melodia e testo sembrano raggiungere i momenti di unione più convincenti.
Prima Favola, un omaggio a Luis Sepùlveda, che il covid si è portato via nell’aprile del 2020: è un invito a seguire le proprie passioni, nonostante le asperità e il buio intorno, con il doveroso riferimento a Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. “Esprimili i tuoi sogni e vivi il tuo destino/ la storia ricomponila al mattino./ E la malinconia non chiuda le tue vene/ e non ti mancherà il tuo lieto fine./ Riassumili i tuoi anni e fanne una canzone/ e forse riuscirai a volerti bene”: questo passo, oltre a denotare un’autenticità incredibile e una felice aderenza tra l’uomo e il cantautore che ti porta a fidarti della sua voce, valgono anche, da soli, una manciata di dischi che sono venuti fuori dall’ultimo Sanremo. Dischi d’oro, di platino o di cristallo: questo passo vale più.
Poi c’è Lettera a Maria. Un brano molto intenso, che racconta di una promessa di ritorno, dunque un brano di speranza, che ha l’andamento claudicante e fatale: con una canzone così puoi cadere per una parola fuori posto. Bassignano non cade mai. E conclude il viaggio declamando il titolo dell’intero disco, cucendo passato, presente e voglia di futuro con il filo dei sentimenti complementari dell’intero album. Ma Soldati, Arlecchini e Pierrot è anche un oggetto molto ben confezionato, con il libretto impreziosito da disegni dello stesso Bassignano, che così lo descrive: «Un po’ di scuola genovese, un po’ di Francia, un altro po’ di quella Milano del dopoguerra di mio zio Aldo Carpi, a cui l’album è idealmente dedicato: mescolati ad alcuni miei disegni ci sono i suoi quadri, nel libretto che accompagna il cd».
Dicevamo: per produrre cose belle c’è bisogno delle giuste condizioni. Bassignano sembra averle finalmente trovate, forse dopo anni di collaborazioni lavorative discutibili. Si è affidato alla produzione esecutiva e alla supervisione artistica di Alberto Menenti di Ondamusic, persona colta e di buongusto (sono sempre più rare); ha deciso di collaborare con Isola Tobia Label, una delle etichette migliori che abbiamo in Italia, diretta in forma umana dall’ottimo Carlo Mercadante. Bax ci ha messo le canzoni, arrangiate da Stefano Ciuffi ed Edoardo Petretti, ed è venuto fuori un disco che chi ha il palato fine non deve assolutamente perdere.