«Comprate la Bari». Il tormentone sul web è finito: in tribunale, all’asta, Gianluca Paparesta si è aggiudicato il titolo sportivo del Bari. L’ex arbitro è a capo di una cordata misteriosa: «Saprete tutto al momento della stipula davanti al notaio. Abbiamo un grande progetto per una grande piazza e per una grande tifoseria», ha detto ieri. Le indiscrezioni girano: si parla di investitori irlandesi. Gioia. Piazza al settimo cielo. Anche se qualche maligno, sui siti, ha cominciato a fare battute: «A breve l’annuncio: Moggi direttore generale… Fate un controllo fiscale… ». Ovviamente, i deliri degli estremisti lasciano il tempo che trovano: la depressione grave dei baresi è guarita di botto. Specie dopo le emozioni di un’asta giudiziaria in cui sembrava si dovesse aggiudicare un quadro di Picasso o di Van Gogh. Prima offerta di Antonio Rosati, busta da 2 milioni. Seconda offerta, Società la Bari calcio 2014, rappresentata dall’imprenditore Cipolloni: 2,2. Terza offerta, Izzo-Canonico, da quantificare. Quarta offerta, Paparesta, Fc Bari 1908: 2,2. A questo punto è asta, a colpi di rilanci da 200 mila euro. Paparesta offre 4,8 milioni Cipolloni non rilancia e il povero Bari fallito va all’ex arbitro Atteso dal notaio giorno 23. Che storia infinita quella del Bari, versione famiglia Matarrese, iniziata quasi 37 anni fa, all’aeroporto di Palese, quando Antonio annunciò la discesa in campo dei “Kennedy di Puglia”. Alti e bassi, nella tradizione: il Bari ha il glorioso appellativo di “squadra ascensore”. E i Matarrese hanno sempre fatto in modo di tenere verde cotanta gloria. Ruspanti, a volte aggressivi, impegnati tra edilizia, Parlamento, Federcalcio, Antonio e quindi Vincenzo hanno retto il club come hanno potuto, mettendo insieme pure dodici campionati in Serie A, schierando ogni tanto fior di giocatori, da Platt a Protti, da Boban a Jarni, da Joao Paulo a Cassano. E allenatori come Catuzzi, Fascetti, Conte e Ventura. Da letteratura il regno di don Vincenzo, un’arroganza tanto naif da renderlo simpatico. Una frase celebre al dì, del tipo: «È inutile piangere sul latte macchiato…». Singolari i suoi feeling, nati guardandosi negli occhi. Accadde con l’allenatore Lazaroni: «Non conosco la lingua brasiliana. L’ho guardato fisso e ci siamo capiti. È l’uomo giusto per il Bari».Accadde con altri. Anche con un certo Chukwu. Bufale. Dalle intuizioni, via via, si passò ai disastri, tra Punta Perotti (l’ecomostro abbattuto), squadra sempre in crisi e tifosi inviperiti e offensivi («Matarrese, non sei un costruttore, sei solo un muratore»). Una discesa sempre più discesa, culminata con lo scandalo di Calciopoli, la vergogna, le penalizzazioni in classifica. I Matarrese volevano vendere, ma a Bari nessuno aveva un grammo di interesse. Arrivò perfino un texano, Tim Burton, che si diceva ricco di soldi. Una presa per i fondelli, da film di Lino Banfi. Ci furono i tentativi a vuoto del sindaco Michele Emiliano che organizzava cene carbonare con presunti compratori russi. Insomma, niente di niente. In un momento non felice per Bari-città, in preda al degrado e sottoculturata, tra focaccia, cozze crude e birra, la squadra restò sola, orfana di tutto e di tutti. E, come nelle favole, spuntò la fata turchina, con la bacchetta magica. I giocatori, tra punti tolti, stipendi non pagati, diventarono bravissimi. Addirittura in lizza per i play off.L’altra sera, al San Nicola, in uno stadio sinistrato dall’incuria, oltre trentacinquemila spettatori e un solo tifoso del Cittadella, immortalato dai fotografi e dalle tv. Vittoria per 1-0. I tifosi riconquistati. Per la storia, il 21 aprile 2002, Bari-Cittadella (3-2 per il Bari), al San Nicola, erano presenti 51 paganti, 622 euro di incasso, record negativo. Cosa significa? Lunedì, allo stadio c’era la fatina turchina. Il 2002 non c’era.