sabato 15 giugno 2013
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Alla domanda diretta sulla nomina di Alexander Pereira, lui che presentando la prossima stagione del Teatro alla Scala aveva bacchettato il sindaco Pisapia perché «per la scelta del sovrintendente si è già perso troppo tempo, bloccando il teatro per otto mesi», risponde con uno stringatissimo ed evasivo: «Sono contento di dirigere il Ring». Si scalda, invece, sull’annullamento dell’autonomia da parte del Consiglio di Stato: «Un grande errore aver stoppato uno statuto che si auspicava sin dai tempi di Toscanini. Occorrerà lavorare per far sì che al teatro sia riconosciuta questa autonomia. Ma ora pensiamo al Ring». Perché da lunedì Daniel Barenboim sarà sul podio per un’impresa che mancava alla Scala dal 1938: le quattro opere della Tetralogia di Richard Wagner a distanza ravvicinata nella stessa settimana. «Non è acrobazia o atletismo, ma un modo per rispettare la volontà di Wagner che ha pensato Rheingold, Walküre, Siegfried, e Götterdämmerung come un’opera unica» assicura il musicista argentino che del connazionale papa Francesco dice: «Ammiro il suo modo di essere vicino alla gente. Seguo i suoi discorsi e mi piace ascoltare il suo italiano detto con accento argentino: mi fa sentire a casa». Due i cicli completi del Ring: le vendite hanno già portato nelle casse della Scala 2 milioni e 198mila euro, con un teatro pieno all’85%. «Il 50% del pubblico – riflette il direttore d’orchestra – è italiano e questo è positivo».Che atteggiamento suggerisce, maestro Barenboim, agli ascoltatori per affrontare una maratona di 15 ore di musica?Di venire a teatro con la mente sgombra, pronti a lasciarsi sorprendere da Wagner: non si può lavorare tutto il giorno, mangiare qualcosa velocemente e poi correre ad ascoltare il Ring. Lo stesso atteggiamento che cercherò di avere io: non posso pensare di far festa la sera prima e il giorno dopo salire sul podio. Wagner richiede che ci si dedichi solo a lui.Ma cosa può dire alla nostra società il «Ring», saga di dèi e uomini in lotta per il potere e l’amore?La Tetralogia si può vedere e ascoltare da molti punti di vista, sociologico, economico, poetico, persino erotico, sta al pubblico trovare la sua chiave di lettura. Anche cercando di decifrare i segni che il regista Guy Cassiers ha messo nello spettacolo, pieno di idee, spunti di riflessione, magari non sempre così immediati, sulla crisi che sta attraversando il nostro mondo.E Wagner, a duecento anni dalla nascita, ha ancora qualcosa da raccontare? Pur non essendo un musicista contemporaneo è riuscito, andando contro tutte le convenzioni, a rimanere moderno tanto musicalmente quanto a livello di costruzione dei personaggi. Ne ho avuto la riprova dirigendolo molto in quest’anno wagneriano. Proverò a farlo capire anche al pubblico perché ascoltare il Ring in una settimana permette di vedere come si sia sviluppato il pensiero di Wagner.Impresa difficile per un pubblico italiano?Difficile, forse, ma non impossibile. Mi sono sempre definito un professore di tedesco per la Scala. Fare la Tetralogia a Bayreuth o Berlino significa fare i conti con la tradizione interpretativa tedesca. Con l’Orchestra della Scala, invece, il mio lavoro è stato animato dalla curiosità di poter fare insieme qualcosa di radicalmente nuovo. Un regalo per me che ho cercato, con il Ring, ma anche con Tristan e Lohengrin, di fare in modo che tutti gli orchestrali potessero pensare la musica allo stesso modo.Quali le maggiori difficoltà del «Ring» in sei giorni?Non tanto tecniche. Certo, occorre dirigere Wagner con strategia: in ogni opera c’è un punto culminante e si deve fare in modo che tutti gli sforzi siano indirizzati a raggiungere quel vertice. È difficile, una volta arrivati al finale del Crepuscolo, tornare all’Oro del Reno che, dopo il viaggio compiuto, rischia di apparire primitivo.C’è una delle quattro opere che preferisce?Non posso per contratto altrimenti rischierei di fare bene quella che amo trascurando le altre.
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