A un certo punto sgrani gli occhi e fissi quell’uomo e quella donna che, stretti nei loro cappotti, avanzano nella penombra. Intorno a loro altre coppie. Cade la neve e tutti danzano. Poi Silvia e Fabio infilano una porta. Tempo un attimo e rientrano spingendo una carrozzina, mamma orgogliosa, papà perso negli occhi del figlio. Ecco cosa ti porti via, inaspettatamente, dalla prima volta di Vasco Rossi al Teatro alla Scala. Ti porti via la voglia di normalità che il rocker nasconde, quasi timido, tra tanto dolore. Reclutato per catturare nuovo pubblico, Vasco, che ha sempre fatto di tutto per apparire trasgressivo, parla apertamente di una donna che si realizza in «un progetto di famiglia, un matrimonio, figli da crescere». Lo fa con Laura, nome che poi è quello della sua compagna - sarà un caso?Dopo lo sciopero della Cgil che sabato ha rovinato la festa, ieri sera la Scala ha ospitato la prima de
L’altra metà del cielo, il balletto che il cantante emiliano si è inventato per il Corpo di ballo della Scala cucendo insieme alcune delle sue più popolari canzoni. Quelle che, con la poesia disincantata e spesso ruvida della vita quotidiana, parlano di donne:
Albachiara e
Susanna, Sally e
Brava Giulia, Jenny è pazza e anche
Gabri che, pur sentendola per l’ennesima volta, gridata così, non può non provocarti ancora un certo fastidio. Il rock di
Vita spericolata e
Siamo solo noi non c’è, ma comunque fa un certo effetto sentire risuonare dove solitamente si ascoltano Verdi e Mozart le canzoni che scaldano i 70 mila di San Siro. Ci sono tre storie di donne (danzano Sabrina Brazzo, Beatrice Carone e Stefania Ballone) che, come in un film, si intrecciano in continua dissolvenza. E non importano più i loro nomi, non importa che la romantica Albachiara finisca pazza come Jenny o che l’adolescente Susanna, uscita a pezzi dal confronto con il mondo dello spettacolo (il bersaglio di
Delusa, che ieri era la tv di Boncompagni, diventa il tutti contro tutti dei talent), se ne vada sola per la strada come Sally. In quelle storie vedi quelle di tante donne di oggi. Storie, però, estreme, piene di dolore. Il dolore della violenza e quello che avverti strisciante nelle scene d’amore. Lo senti, nelle orchestrazioni, furbamente melò (c’è anche un organetto che suona la
Traviata), che Celso Valli ha approntato appositamente per il balletto e che alla Scala risuonano su base registrata. Dolore che non si placa nemmeno alla fine quando a riunire le tre donne ci sono le note di
Un senso.Ecco, forse, quello che manca a questo lavoro, firmato dalla coreografa Martha Clarke, teatro-danza, molto recitato (a volte sembra di vedere un videoclip) e poco danzato. Manca un senso. Manca una prospettiva di futuro. Che per Vasco (assente alla prima ma al quale sono state tributate ovazioni da stadio e sei minuti di applausi) può arrivare «anche se questa vita un senso non ce l’ha». Ma che, la storia di Silvia (o Laura) lo dice chiaro, «si chiama amore». Bastava, forse, crederci un po’ di più. E provare a volare in alto, oltre il dolore.