Se l’artista, come sottolinea il designer americano Paul Rand, «è per necessità un collezionista», Claudio Baglioni nel nuovo album
ConVoi prova a svuotarsi le tasche riempite di memorabilia per dieci lunghi anni. Tanto il tempo intercorso dall’ultima raccolta di inediti
Sono io, l’uomo della storia accanto, ingannato soltanto con inni, tributi, carole natalizie, rifacimenti dalle alterne fortune. Così tra i solchi di questa diciottesima fatica in studio, dai souvenir, dalle fotografie, dagli appunti sparsi rovesciati sul tavolo spuntano dodici nuove canzoni definite e legate fra loro da un’introduzione, un intermezzo e un finale. «Otto mesi fa ho pensato addirittura di mollare tutto e accettare l’idea del fatidico passo indietro» ammette. «Ma avevo da parte così tante cose che mi sembrava un peccato lasciarle chiuse nel cassetto, così ho chiamato Walter Savelli, mio storico collaboratore, e abbiamo iniziato a lavorarci sopra» ammette il cantautore di Montesacro nello stesso albergo romano dove 44 anni fa cantò per la prima volta
Una favola blu e
Signora Lia, facciate A e B del 45 giri da cui è nato tutto. Anzi
Signora Lia la canta voce e chitarra per provare forse a inseguire l’emozione di allora. Ma il sessantaduenne di oggi sembra piuttosto lontano dall’esuberante svagatezza del diciottenne di ieri. «Appartenendo a quella categoria di artisti che non hanno mai sentito il bisogno di durare, ma piuttosto quello di esistere. Nell’animo della gente. E la realizzazione di questo album mi ha divorato l’anima come ventitré anni fa quella di
Oltre. Tutto nasce, fin dal titolo, da un’idea di condivisione, ma anche di viaggio, di vita, di movimento alla ricerca di quel Santo Gral o di quel Far West che ci portiamo dentro. Cosa dimostrata chiaramente da queste canzoni che su disco sono già leggermente diverse dalle versioni messe in rete e che nei concerti della prossima primavera sono destinate a trasformarsi ancora di più». Già perché dal maggio scorso l’album si è composto lentamente nell’immaginario collettivo con la pubblicazione su iTunes di una nuova canzone ogni due settimane. E la più baglioniana di tutte,
Una storia vera arriva sul mercato proprio oggi assieme al disco finito. Ma l’universo attraversato dall’album è oltremodo variegato e spazia dalle atmosfere alla Procol Harum di
Dieci dita alla caliente anima tanguera di
Come un esterno addio a una citazione (riveduta e corretta) di Lorenzo De’ Medici nell’introduzione de
Gli anni della giovinezza («Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia...»).
Isole del Sud parla invece d’immigrazione, come sottolineato anche dalla pubblicazione non proprio casuale lo scorso 8 luglio durante la visita di papa Francesco a Lampedusa, per ricordare con uno dei tanto amati chiasmi della produzione baglioniana che «la promessa di una terra non è detto che sia la terra promessa». «Come musicista sono orgoglioso di quanto realizzato dai concerti di ’O Scià’, come cittadino sono scoraggiato. Scoraggiato dalle mancate risposte al dramma dell’immigrazione da parte della politica. È un problema di convivenza, ma pure di identità; non riusciamo a fare nulla perché come popolo non sappiamo più esattamente chi siamo. Sono venticinque anni che va avanti questa storia, ancora un po’ di tempo e vedrete che ci abitueremo. Nella vita, d’altronde, prima o poi ci si abitua a tutto: pure alla guerra, ai morti, alla disperazione».