venerdì 12 maggio 2017
Questa sera Rai 5 manda in onda un docufilm su questa figura centrale della commedia dell’arte, da cui il regista e l'acrobaticità di Ferruccio Soleri hanno creato un personaggio vivo come Amleto
Ferruccio Soleri, storico interprete di "Arlecchino servitore di due padroni" con la regia di Giorgio Strehler (Piccolo Teatro)

Ferruccio Soleri, storico interprete di "Arlecchino servitore di due padroni" con la regia di Giorgio Strehler (Piccolo Teatro)

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Come una maschera può divenire un mito. Che, nel teatro e nella letteratura, significa personaggio incancellabile: Amleto, una volta apparso in scena al Globe di Londra, sedicesimo secolo, non uscirà mai più da quella del mondo. Il personaggio (come Achab, Ulisse, D’Artagnan), nasce con la propria anima, anzi è un realizzazione della sua, fino a quel giorno invisibile, anima, la sua ghianda. Così è, nel teatro, di tutti i personaggi di Shakespeare, di alcuni di Marlowe e di altri elisabettiani, di altri della tragedia greca, con una differenza: i personaggi dagli elisabettiani in poi sono più che antropomorfi, sono umani: sono umani Romeo e Giulietta, Prospero e Miranda, Macbeth, il Dottor Faustus di Marlowe, come Arpagone di Molière e Mirandolina di Goldoni. Diventare mito del teatro, dove si recita il mondo, è più complesso per alcuni personaggi della tragedia greca, che, anziché vivere pienamente nel mondo sublunare, incrociano i loro destini e spesso il loro sangue con quelli degli dei. Quando un drammaturgo nuovo, cioè da Shakespeare in poi, crea un personaggio non umano, la questione si complica: conosciamo la passione dei due giovani veronesi, il maschio e la femmina, la lussuria di Gertrude madre di Amleto e l’amore disperato per lui della dolce Ofelia. Ma Ariel, il demone dei venti, nella Tempesta di Shakespeare, chi è? È uno spirito, un demone, il suo sesso quindi lo stesso di quegli spiriti particolari ma sempre demonici che sono gli angeli. Il teatro, che è parola, azione, corpo, vede in questi casi l’intervento decisivo del regista, se è pure demiurgo. Dalla Tempesta di Strehler, leggendaria, del Piccolo (1977), Ariel è un essere pienamente femminile, non solo: bionda, leggera, angelicata e civettuola insieme nella voce e nel moto del viso e del corpo. Grazie a Strehler e alla magica Giulia Lazzarini, il mito Ariel è questa ragazza leggera e dolce e ridente come uno sbuffo di vento da riva. Ma Peter Brook, in un’altra leggendaria Tempesta, ci convince del contrario: Ariel è un giovane maschio, nero come un guerriero dell’Africa nera, muscoloso, possente, i capelli tirati all’indietro e bloccati come spinti dal vento, la criniera di un cavallo purosangue in corsa. Ariel, ragazza bionda, brezza gentile, e maschio nero, vento impetuoso e possente. Se è difficile far nascere un personaggio da un sogno non di umano, immaginiamo dargli vita, esistenza, movimento, durata, ore senza quando entra in scena con il volto coperto da una maschera. Come afferma Ferruccio Soleri, che ha fatto mito Arlecchino servitore dei due padroni, di fronte al gruppetto di scelti, intensi studenti della scuola del Piccolo Teatro, che gli pongono domande precise e fondate, in una scena centrale del film-documentario Arlecchino segreto, (di Felice Cappa, regia di Barbara Pozzoni, in onda domani su Rai 5, alle ore 20.15) il primo problema di questo personaggio è di essere una maschera. La maschera blocca e nasconde non solo la mimica e l’espressione del volto, come l’attore sottolinea, ma anche, aggiungo io, modifica il ruolo e i la potenza e il linguaggio degli occhi, che, isolati dalla mobilità del volto cambiano radicalmente di effetto e senso. Arlecchino quindi deve creare con il corpo l’espressività, la realtà dinamica, l’effetto che il volto mascherato non può comunicare. Ad esempio, afferma, curvando le spalle e abbassando il capo, io non posso con questa postura recitare la parte di un personaggio felice, E subito, spalle erette, petto in fuori, testa alta, nota che non può in tal modo simulare avvilimento, o tristezza. Qui entriamo, molto didascalica-mente, nel problema della maschera e della recitazione corporea. A mio parere, il film, meritevole d’intenti e realizzato in buona fede, non può, nei suoi 50 minuti di durata, consentire che Soleri ripeta la stesso esempio (spalle curve spalle diritte), con le stesse parole, nella stessa situazione. Il teatro è azione, il cinema è anche taglio. Quanti esempi di azione corporea può chiedere uno sceneggiatore o un regista a un mostro saltimbanco come Ferruccio Soleri? Perche fargli ripetere la stessa cosa? Partendo da qui, avrei amato che il film concedesse spazio a prove, camerini, esercizi, interni di teatro e poi esterni di quell’Italia che il cinema neorealista rende memorabile, e che qui affiora appena, brevi frammenti. L’aspetto ginnico, ineludibile in un attore che definisce chiaramente la propria vocazione al teatro raccontando che da bambino sognava di lavorare nel circo, di nascosto spiava gli acrobati in uno tendone a Firenze, a dieci anni. Poi si appassionò al teatro. Il circo non è stato un sogno infantile, un desiderio frustrato di gioventù. Da qui poteva partire una sequenza di immagini acrobatiche, immaginiamo quanto materiale di repertorio in decenni da saltimbanco incantatore. Mi aspettavo più “a solo” di Soleri-Arlecchino, in una lunga carriera: Muti sa parlare con giovani e anziani, ma mi affascina di più quando dirige. Comprendo l’intenzione didattica, seria e l’onestà della realizzazione. E quindi gli interventi di due studiosi che contestualizzano il fenomeno Arlecchino, ma mancano integrazioni: la storia della Commedia dell’Arte e degli Zanni va letta attraverso l’incursione geniale che vi fece Strehler. Anche Dario Fo vi attinse, ma non mi pare la stessa cosa. Belle e incisive le parole di (guarda caso) Giulia Lazzarini, che entra subito nel mistero del teatro, di Enzo Frigerio, che ci avvicina con classe e passione alla macchina scenica, facendo, nel senso migliore della parola, scena, ma forse sarebbe stato utile far parlare brevemente come sanno fare certi artisti, alcuni colleghi della Lazzarini, alcuni grandi attori o registi, chiedendo commenti fulminanti. Insomma più voci, più teatro. Per avvicinarci sdavvero al segreto di Arlecchino, un prodigio, un personaggio che entra in scena per non uscirne mai più: ma del 1200 la sua maschera esisteva, polverosa e patetica come tutte le maschere. Il genio di Strehler e la folle, acrobatica, mercuriale, circense teatralità di Ferruccio Soleri hanno creato da una maschera reiteratamente indossata e perennemente impolverata un personaggio vivo come Portos e Falstaff. Lui, imbavagliato da una maschera e costretto a un sempre identico costume, è entrato nel mondo e di Arpagone e di Mirandolina, lui non umano come loro, fatto della stoffa del sogno, copme Puck del Sogno incantato, è entrato in scena grazie al genio del puer italiano: un misto di Strehler, di Silvan, di Fellini, Pinocchio, tanto Orfei e tanti Togni…Nel semprevivo circo del sogno. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il genio di Strehler e l’acrobatica teatralità di Soleri hanno creato da una maschera impolverata un personaggio vivo come Portos e Falstaff Ferruccio Soleri, storico Arlecchino

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