Fiorello e Amadeus ieri sera durante la serata finale del Festival di Sanremo - Ansa
La musica è finita, gli amici-nemici, gli ex fraterni "Amarello" (Amadeus e Fiorello), se ne vanno. E, pare, non ritornino più: «Nel 2022 non ci sarà un Ama e Fiore ter», anticipa e spiazza Amadeus in modalità non gioco più a fare il direttore artistico-conduttore, me ne vado. «Tornerò ai miei giochi, ai miei quiz», sussurra con un sorriso giocondo da imitazione di Max Tortora, mascherando assai poco l’Ama/rezza nonostante la mascherina. Amadeus se ne torna dai suoi Soliti ignoti e Fiorello rientra in letargo a rivedersi pigramente le repliche di VivaRaiplay!, a giocare con il telefonino sul divano di casa aspettando le 6 del mattino che apra l’edicolaFiore, magari per leggere chi sarà – saranno – i protagonisti dell’Eredità di Sanremo.
Comunque, nessuno si è scomodato per trattenere gli Amarello. Neanche il loro primo fan, il direttore di Rai 1 Stefano Coletta che, alle dimissioni in diretta di Amadeus – date a mezzogiorno in conferenza stampa – ha reagito come davanti a un quadro di Achille Lauro: estasi e tormento. I due ex ragazzi di Dj Television non erano vaccinati per un bis trionfale e davanti all’ipotesi del Sanremo ter, sul palco e fuori hanno dato l’impressione di dirsi – tra un coppino e l’altro di Fiore sulla nuca di Ama – perdiamoci di vista.Fine del tanto sbandierato «Festival dell’amicizia». Fratelli coltelli, questo Sanremo ne ha rovinati più del petrolio, direbbe Vasco.
E non è ancora finita l’edizione 2021 che, nell’enclave di Rai 1 è già tempo di concistoro: via al toto-conduttore. Un giovane possibilmente, visto che i "contashare" di Mamma Rai informano che Sanremo è magicamente diventato un paese per giovani. La soluzione in casa la Rai ce l’avrebbe, è nel surrealismo – non trasgressivo e becero achillelauriano – di Valerio Lundini. Autore, conduttore, attore e scrittore 35enne, con alle spalle un Dopo Festival del 2020 (andò bene pure quello) e 41 puntate di rodaggio da piccolo mattatore di Rai 2 con il talkshow Una pezza di Lundini. Ma alla fiera dell’Est, dopo l’ingaggio di Ibra, la rete ammiraglia da mesi sembra che stia corteggiando Alessandro Cattelan.
Al pubblico anziano, ricordiamo brevemente chi è Cattelan. Una vita in vacanza tra un music talent e l’altro di Sky, @Alecattelan (per il giovane pubblico dei social) è nato a Tortona, 40 anni fa, proprio sulla strada che porta alla sua Damasco televisiva, Sanremo. Giovane, carino e pronto per essere occupato, Cattelan ha il profilo giusto per i vertici attuali di Rai 1 dove la filosofia è quella rimarcata in Mai dire mai da Willie Peyote che, oltre a sognare un domani con «teatri e stadi aperti», denuncia quelli a cui «non servono programmi se il consenso già ce l’hai». Anche quando un Festival – unico e disgraziato perché fatto e trasmesso "al tempo del colera virus", d’accordo – perde 10 punti di share al giorno (erano questi i record promessi da Ibrahimovic?) il consenso popolare che hai perso te lo costruisci da solo dando i numeri.
Così mentre Fiore e Ama sulla spiaggia della Riviera sono stati visti cancellare tutti i reciproci t’ho scritto t’amo sulla sabbia, in coro salutano: «Sanremo ci rivediamo... quando avremo 70 anni». Su Sanremo social club, all’alba, – come tutte e cinque le serate – mentre scriviamo il nome del vincitore (scusateci lettori) hanno fatto calare il sipario. Ma forse sarebbe meglio dire: hanno fatto spegnere il pc, il cellulare e il tablet della nuova tribù che balla al ritmo della musica leggerissima, gasata solo dai Maneskin e il Peyote e per lo più extraliscia. Il pubblico dei giovani che per una settimana, secondo «narrazione» colettiana avrebbero abbandonato le altre piattaforme concorrenti e anche la playstation per interagire con il Festival degli zii Fiorello e Amadeus.
Da Roma fino a Sanremo è salita con emozione quasi adolescenziale anche la direttrice di Rai Play e Digital, Elena Capparelli, per confermare i «6milioni di interazioni giovanili e una crescita del pubblico, nella fascia d’età 14-24 anni, del 120%». Siamo al bis di un «dato contabile» che per Coletta è indice di «pregnanza semantica» e di «resilienza» (guai, mai starne senza). «Un’autentica rivoluzione – continua il direttore di Rai 1 – per chi ha portato in scena un’operazione culturale con grande valenza etica, ed è questo che il servizio pubblico deve fare. E questo è stato fatto in un Festival che resterà epico». Di epico rimarranno le dimissioni anticipate degli Amarello e sicuramente le paure dei contagi, i tamponi ogni 72 ore, i bar e i ristoranti chiusi, il coprifuoco di una Sanremo che ai tempi di Italo Calvino era la città della speculazione edilizia, mentre ora è una delle mille città italiane del drammatico – e ancora senza i vaccini – disperato silenzio. Specie ora, in quest’alba in cui la musica è finita (e non è stata affatto male) e gli amici se ne vanno, senza neanche l’ombra di un rimpianto.