Il restyling della parte antica del Museo Reale di Belle Arti di Anversa - / Karin Borghouts
È quasi un gioco di polarità quello messo in scena nel nuovo look del Museo Reale di Belle Arti di Anversa (KMSKA) che inaugura in questi giorni al pubblico. Fasto ottocentesco nelle sale storiche, per gli “old masters”, con le dominanti dell’oro e del bordeaux e gli antichi lucernai; minimalismo razionale negli spazi nuovi, per i “modern masters” (o iconoclasti come sono stati definiti), che aggiungono circa un 40% di superficie espositiva, con la dominante del bianco abbagliante, fin quasi a dissolverne la dimensione fisica. Il Museo e lo studio KAAN Architetti hanno lavorato un decennio per questo restyling che tende a distinguere nettamente ciò che c’era da ciò che è aggiunto, proprio per la dissonanza fortissima dei colori di fondo. Scelta legittima, che verrà giudicata dal pubblico. L’elemento che accomuna antico e moderno sarebbe dunque l’intervento della luce: pensato in origine negli anni ottanta del XIX secolo come museo a luce naturale, rimane tale nella parte antica, mentre nell’addizione moderna si avvarrà di ben 198 lucernai.
L’intervento dello studio KAAN ha recuperato superfici da quelli che un tempo erano i giardini collegati al Museo. Entrati dall’ingresso principale si accede alla grande hall dove il doppio scalone porta al piano superiore dagli antichi maestri. Al piano terra, invece si può scegliere il percorso dei maestri moderni. Il collegamento interno fra i diversi livelli avviene con una lunga scala bianca che fa pensare a quanto poco sia lieve l’andare in alto (ma a scendere produce addirittura un sentimento di vertigine). Se l’ascesa può sembrare faticosa, resta sempre l’ascensore, ma quando il museo dovesse avere un afflusso di visitatori elevato (come gli stessi direttori dell’istituzione si augurano) forse si rischierebbe l’ingolfamento.
Qualche semplice cifra può far comprendere la mole del Museo, il maggiore delle Fiandre, che ha l’ambizione di competere con i grandi musei europei: Louvre, Prado, Ermitage, Tate. 650 opere esposte, ma oltre ottomila conservate nei magazzini. Naturalmente, la parte del leone la fanno i maestri fiamminghi, vedi la Madonna alla fontana e il disegno per Santa Barbaradi Jan van Eyck e i Sette sacramenti di Rogier van der Weyden, e poi le grandi sale iniziali dedicate a Rubens, ma anche con opere di Van Dyck e Jordaens. In una forbice che da Rubens arriva a Ensor – di cui il museo possiede ben 40 dipinti, più molte opere grafiche –, e all’altro grande artista fiammingo dell’epoca, Rik Wouters, questo può dirsi davvero il tempio dell’arte fiamminga: 111 opere sono già entrate nell’elenco ufficiale di quelle tutelate dal Governo.
Il nuovo intervento che ha ampliato il Museo Reale di Belle Arti di Anversa - / Karin Borghouts
Al KMSKA troviamo però anche grandi maestri europei, alcuni italiani: Simone Martini col Polittico Orsini e Antonello con Il Calvario, oppure Tiziano con Papa Alessandro VI presenta Jacopo Pesaro a san Pietro. In ambito francese la straordinaria Madonna coi serafini e i cherubini di Jean Fouquet, in un gioco di bluetto cobaldo e rosso fuoco, su cui è stata allestita anche una sala, come si dice oggi, a immersive experience, con la riproduzione digitale e dinamica dei cherubini sulle quattro pareti. Il versante tedesco, ci offre il monumentale trittico di Dio Padre con gli angeli cantori e musicanti di Hans Memling e altre sue opere. Ma se ci spingiamo fino al nostri giorni fra gli italiani troviamo Modigliani, con uno dei suoi più bei nudi femminili, sculture di Fausto Melotti e Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana con uno dei suoi Concetti spaziali. Tra gli europei più celebri del XIX secolo, Rodin e James Tissot, del XX secolo Grosz.
Tenendo presente che Vallonia, Fiandre e Bruxelles si considerano tre parrocchie distinte, con i loro autonomi uffici culturali e turistici, fa piacere scoprire fra i contemporanei belgi Constant Permeke, con quelle sue figure che sembrano sorgere dalla terra con un realismo e una solidità che lo avvicinano al nostro Sironi, il realista magico Gustaaf van de Woestijne, che ci comunica l’angoscia del nord (il fratello Karel fu un poeta colto e raffinato, di cui è stata tradotta l’antologia Interludi qualche anno fa); poi alcuni Magritte e, più prossimo al nostro tempo, Pierre Alechinsky con una enorme tela informale. Anche nella scultura, oltre a una collezione di terrecotte d’epoca, nel moderno il Museo offre una buona scelta con opere di Degas, Zadkine, Marino Marini, Wotruba, Gargallo, Gonzalez...
L’elevato numero di opere conservato nei caveaux del Museo, 8.400 per la precisione, dovrebbe però indurre a pensare nuove forme di esposizione temporanea a rotazione che consentano di vedere ciò che resta lungamente nascosto al pubblico. Va bene ampliare gli spazi, ma bisogna diversificare in modo permanente l’offerta. Questa è la sfida oggi per tutti i musei di lungo corso. Ma sarebbe un ottimo incentivo per gli stessi abitanti di Anversa invitati a compiere visite periodiche nel Museo per approfondire la conoscenza di opere poco viste attraverso mostre temporanee fatte in casa con studi storici e tematici. Questo se è vero che uno degli slogan del museo è: «Guarda diversamente e vedrai di più».
Al KMSKA dal 1999 è stato allestito all’interno un laboratorio di restauro, che ha lavorato molto sulle opere che si vedranno alla riapertura: in vent’anni, sono stati 145 i restauri interni, 57 quelli di opere provenienti da fuori, oltre a una media di circa siecento interventi conservativi ogni anno. Per rendere più divertente la visita anche ai più piccoli, si è affidato all’artista Christophe Coppens la realizzazione di una serie di sculture disseminate nel museo – un enorme dromedario un po’ strambo su cui possono salire e giocare i bambini, una gigantesca mano appesa quasi all’altezza del soffitto, una montagna che riprende certe rocce nei quadri fiamminghi –: si vuole rendere il museo meno noioso, un po’ spettacolare, però la soluzione è forse pretestuosa e certamente fonte di stupori molto passeggeri.
Ma questo atteggiamento denota l’altra polarizzazione fondamentale richiamata come punto qualificante durante la conferenza stampa: la contaminazione fra antico e moderno, che paradossalmente viene poi smentita dall’intervento architettonico che distingue nettamente lo spazio storico da quello nuovo. Una contraddizione che si nota anche in alcuni accostamenti interni alla parte storica: che senso ha mettere la Madonna di Fouquet, uno dei quadri più magnetici che la pittura europea del Quattrocento abbia prodotto – Focillon parlò del “ritratto monumentale” francese prendendo Fouquet come parametro –, di fronte a una teletta di Marlene Dumas con un nudino femminile che si offre sotto il titolo Dai alla gente ciò che vuole e, poco più in là, un volto di Luc Tuymans della serie Der Diagnostische Blick? Più che una sperimentazione, sembra la voglia di farsi del male: che cosa spinge a credere che per il visitatore costituisca una sfida il paragone tra un capolavoro come quello di Fouquet, e queste telette dal valore pittorico assai modesto? Oppure, perché il confronto “dissacrante”, forse interno alla pittura ma che diventa provocazione gratuita, esponendo – al piano superiore – un dipinto del surrealista Delvaux che presenta tre dei suoi tipici e spettrali nudi femminili, accanto a una Madonna col bambino del pittore olandese quattrocentesco Dieric Bouts?
L’impressione è che, mentre ci si avvicinava all’inaugurazione, sul piano delle idee molto sia restato ancora da mettere a punto.