sabato 8 febbraio 2014
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Non uno psicologo, né un accompagnatore, ma un amico, un confidente, una persona con cui sfogarsi e parlare di storie felici o tristi. L’assistente spirituale è ormai una figura inamovibile nella spedizione azzurra ai Giochi olimpici. Per la quarta volta - dopo Pechino 2008, Vancouver 2010 e Londra 2012 - a ricoprire questo ruolo è monsignor Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale del turismo, sport e tempo libero della Conferenza episcopale italiana. «La mia presenza qui a Sochi - spiega don Mario, in uno dei pochi momenti liberi della sua giornata trascorsa nel villaggio olimpico - testimonia la vicinanza della Chiesa al mondo dello sport. Non è facile entrare in contatto con gli atleti, ma una volta scoccata la scintilla e acceso il dialogo, la mia presenza diventa naturale. I ragazzi sanno che c’è qualcuno disponibile ad ascoltarli e ne approfittano se hanno bisogno».Al suo arrivo in Russia don Lusek - originario della diocesi di Fermo, dal 2007 in carica alla Cei - ha consegnato a tutti gli atleti italiani un libricino con alcune riflessioni, tra cui una frase di Papa Francesco: “Il campione vero è un portatore di umanità”. «Dietro ogni sportivo - racconta - ci sono storie e spaccati di vita che hanno contribuito alla formazione umana e hanno alimentato i sacrifici per raggiungere la vittoria. L’assistente spirituale deve soltanto accompagnare l’atleta nel suo percorso».Per fare ciò don Mario vive nella stessa palazzina degli atleti, pranza insieme a loro, guarda le gare in tv e qualche rara volta li accompagna anche sui campi di gara. Sia la domenica, sia durante la settimana don Lusek celebra la Messa: «Lunedì alla prima celebrazione c’era l’intera squadra di short track, tra cui anche Arianna Fontana in compagnia del futuro marito Anthony Lobello. Ho parlato loro dell’importanza di credere in ciò che si fa e di spendersi completamente per raggiungere il proprio traguardo».Nel villaggio olimpico è stato allestito un centro religioso, dove in ciascuna stanza si radunano atleti di fedi diverse. «È bello - conclude don Lusek - vedere cattolici, protestanti, ortodossi, islamici, ebrei e buddisti mentre pregano in silenzio, meditano in solitudine o in gruppo, e si raccolgono per riflettere su argomenti apparentemente distanti dallo sport». Una lontananza solo di facciata, perché nel quotidiano del villaggio olimpico la fede gioca il suo ruolo nell’avvicinamento alle gare. Anche la meditazione contribuisce alla medaglia.
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