Il Campidoglio, 6 gennaio 2021. Washington D.C. - Leah Millis / Reuters
Il simbolo della povertà americana negli anni ’60 è una foto in bianco e nero scattata da Charles Harbutt nel 1963 nell’angusto appartamento newyorkese di una famiglia portoricana. Un uomo si lava, in cucina, nella vasca da bagno installata accanto al lavello sommerso di piatti sporchi, nella totale incuranza di una donna e di un bambino. Cosa è cambiato negli ultimi cinquant’anni? La risposta evocata da un’altra foto, questa volta a colori, affiancata alla prima è amara: poco e niente. Lo scatto con cui Gabrielle Lurie ha immortalato nel 2020 l’intimità tra una mamma senza tetto e il figlioletto sull’uscio di una tenda sotto un ponte di Berkeley, in California, trasuda la stessa povertà di mezzo secolo fa.
L’accostamento di immagini vecchie a fotografie realizzate degli ultimi cinque anni è il filo conduttore della mostra “America in crisis” allestita alla Saatchi Gallery di Londra. Il titolo dell’esposizione, curata da Sophie Wright e Gregory Harris, dell’High Museum of Art di Atlanta, insieme alla fotografa statunitense Tara Pixley, è esattamente quello scelto dall’agenzia Magnum per l’esposizione organizzata nel 1969 al Riverside Museum di Manhattan.
Erano anni difficili. Il Paese era scosso dal recente assassinio di Martin Luther King e, appena cinque anni prima, da quello del presidente John F. Kennedy. Le tensioni a sfondo razziale erano intrecciate alla disuguaglianza economica e alla crescente opposizione alla guerra in Vietnam. Alle elezioni del 1968 il repubblicano Richard Nixon strappò la vittoria al democratico Hubert Humphrey per un soffio. La collezione di 120 immagini, firmate da 40 dei più autorevoli fotografi statunitensi, come Bruce Davidson e Elliott Erwitt tra i più anziani, o Kris Graves e Balazs Gardi tra i giovani, riporta alla memoria il volto degli Stati Uniti di quel periodo accostandolo a quello odierno.
L’esposizione suggerisce che le criticità più difficili del Paese a stelle e strisce siano irrisolte. Razzismo, povertà, disuguaglianza e violenza sono ancora lì, nel tessuto più profondo della società, forse anche peggiorati. Il racconto per immagini proposto dai curatori evoca l’idea che, oggi come allora, il mito dell’“eccezionalismo americano”, il “sogno” nato con la Grande Depressione, la dottrina secondo cui l’America è la terra dove a chiunque vengono offerte possibilità di successo, benessere felicità, a prescindere dal ceto sociale di nascita, è mortificato da una realtà dura e imperfetta.
La marcia di Selma, Alabama, 1965 - Bruce Davidson / Magnum Photos
Lo storico britannico Tim Stanley, editorialista del Telegraph, ha bocciato la narrazione proposta dalla mostra perché a suo dire farcita dai cliché di sinistra, come quello del movimento Black Lives Matters e della politica avvelenata dal trumpismo, che finiscono per «manipolare » il giudizio dei fatti.
Le foto delle proteste di piazza seguite all’assassinio di George Floyd, nel 2020, e del violento assalto dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021, parlano però da sole. Lo scatto di Balazs Gardi, vincitore nel 2008 del premio World Press Photo, immortala un agguerrito sostenitore dell’allora presidente uscente in costume del diciottesimo secolo. Quello di Leah Millis, infiltrata per Reuters nella folla dei rivoltosi con una maschera antigas sul volto e un elmetto balistico sul capo, ha restituito al mondo l’immagine della cupola del Campidoglio che svetta tra il fuoco e il fumo della protesta.
In genere le crisi sono incidenti di percorso della storia ma quelle viste negli Stati Uniti negli ultimi anni, sottolinea Millis, sembrano essere «la continuazione» di vecchie tensioni e «sento che stanno diventano sempre più profonde». In quest’ottica la rassegna è un modo per riflettere sulle piaghe non rimarginate della storia americana. “America in crisis” offre anche l’occasione per capire come la cultura dell’immagine e la pratica documentaristica in ambito sociale sono cambiate negli ultimi 50 anni.
L’arte fotografica pare aver completato il processo di accettazione delle potenzialità del colore, anche nel racconto di eventi drammatici come il “day after” di un uragano in Florida. La videoinstallazione che spalma la collezione su monitor interattivi a riproporre le immagini in sequenze composte dagli algoritmi utilizzati per categorizzarle è un invito a esplorare le logiche invisibili che regolano la fruizione contemporanea della fotografia. Alla fine del percorso espositivo l’amarezza del confronto con l’anima sofferente degli Stati Uniti di oggi e di ieri è stemperata da un messaggio di speranza. «Gli americani combattono – commenta la curatrice Pixley – per un sogno che tarda a realizzarsi, orgogliosamente convinti che presto, molto presto, la promessa di splendore verrà mantenuta».
Londra, Saatchi Gallery
America in crisis
Fino al 3 aprile