Quando uno non sa giocare a calcio lo mandano a fare l’arbitro, quando non sa fare l’arbitro lo mandano a fare il sindaco». Matto Renzi, padrone di casa tra gli affreschi della Biblioteca degli Uffizi, piaciona con il pubblico di sportivi, direttori di rete, addetti ai lavori richiamati a Firenze per gli Screenings Rai. Il mercato televisivo del servizio pubblico ha aperto la sua tre giorni di convegni e incontri con un dibattito sul tema "Valore e valori dello sport", a partire proprio dal ruolo educativo della televisione. E mentre il sindaco di Firenze a latere continua a picconare la politica («bisogna fare presto, come la Chiesa»), e va a cercar consensi tra i giovani dalla De Flippi (sabato sera, jeans e giubbotto di pelle sarà ospite di
Amici su Canale 5), intanto usa lo sport come metafora politica: «Sport che insegna la sana competizione di cui non bisogna avere paura».Ma il nucleo della questione è quanto ci sia bisogno di sport, in un Paese, come dice il nuovo presidente del Coni Giovanni Malagò, «che non ha una grande cultura sportiva, che è il secondo al mondo per obesità, in cui mancano le strutture in cui è fondamentale ripartire dalle scuole e dalla costruzione di impianti. Purtroppo però non si può più bussare alle casse dello Stato. Occorre avere iniziativa». Il servizio pubblico, potrebbe fare molto per una sana cultura dello sport, peccato, però, che gli avvenimenti sportivi in tv siano diventati un enorme business da cui la Rai rischia di rimanere tagliata fuori. Il vice direttore generale della Rai Gianfranco Comanducci si mette volonterosamente a disposizione. «La Rai, con la sua presenza capillare sul territorio, è a disposizione del Coni, la Rai può e deve alfabetizzare le scuole sullo sport». Ma il tasto dolente lo tocca Eugenio De Paoli, direttore di Rai Sport. «Non è possibile che il servizio pubblico sia costretto dal mercato dei diritti sportivi, che ha raggiunto prezzi inaccettabili, a rinunciare a eventi sportivi fondamentali come le Olimpiadi». La questione non è da poco, perché 18 milioni di famiglie italiane non hanno accesso alla pay tv, mentre gli abbonati nel 2013 di Sky sono 4.850.000 milioni e mezzo (con un calo di 150.000 abbonati dal 2011) e Mediaset Premium non riesce ad andare oltre le 2.200.000 di tessere attive. Su tutti gli sport però comunque è Sky a fare la parte del leone con oltre 1.700 appuntamenti, comprese le Olimpiadi invernali di Sochi nel 2014 e le Olimpiadi di Rio nel 2016. La Rai per ora detiene ancora i diritti dei Mondiali di Calcio (in coproprietà con Sky) e punta sulla Fifa Confederation Cup 2013. Ma con 225 milioni di euro di rosso in bilancio, c’è poco da fare: la Rai nel suo piano di emergenza di 94,8 milioni di euro ha dovuto tagliarne 21 proprio sullo sport.E dietro l’angolo c’è il concorrente che potrebbe far schizzare il mercato a livelli inarrivabili. L’emittente araba Al Jazeera, dopo il mercato americano e quello francese, è pronta ad entrare nel mercato italiano dei diritti tv dello sport (voci di corridoio parlano di trattative con Sport Italia). Se non addirittura acquistare Sky da Murdoch: E, con i petroldollari alle spalle, allora sì sarebbero dolori.«La Rai deve essere garantita, anche dalla politica, sulle manifestazioni di grande interesse nazionale. Non è giusto che i telespettatori debbano pagare un abbonamento per vedere manifestazioni sportive di interesse nazionale – insiste De Paoli –. La finale della Pellegrini alle Olimpiadi di Londra stata seguita da 9 milioni e mezzo di spettatori, le finali di scherma da 5 milioni, il pugilato 6 milioni. Non si può non tener conto a livello politico e sportivo di queste cifre. Le Olimpiadi sono la massima declinazione sportiva, se non c’è l’emittente di Stato vuol dire che lo sport ha perso».