Racconta che a tre anni costruiva con cartone ed elastici giocattoli a forma di violino. Poi i suoi genitori gli hanno regalato un violino vero. E da allora è nata la passione di Salvatore Accardo per la musica. «Il mio percorso si è svolto come volevo andasse, nel solco del cammino tracciato dai miei predecessori, i grandi con i quali ho avuto la fortuna di suonare che mi hanno insegnato che la musica è qualcosa di profondamente serio che si deve fare con rispetto e con passione». Oggi che di anni ne ha 73 il violinista guarda così alla sua carriera. Lo fa con in mano
Salvatore Accardo in concert, il cofanetto che la Decca (domani alle 18.30 la presentazione alla Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano) ha realizzato stampando alcune registrazioni che sino ad oggi erano uscite solo in vinile, ma mai in cd. «Capolavori – racconta – come il
Concerto per violino di Beethoven e quello di Brahms eseguiti con il Gewandhaus di Lipsia diretto da Kurt Masur».
Che effetto le ha fatto riascoltarsi, maestro? «Come sfogliare un album di ricordi. I grandi capolavori che escono in questo cofanetto sono lavori degli anni Settanta e Ottanta. Ci sono Beethoven e Brahms, ma anche il
Concerto per violino di Sibelius, cinque sonate di Tartini e le
Quattro stagioni di Vivaldi, un’incisione realizzata a Cremona: tutta l’orchestra suonava su degli Stradivari (tranne il contrabbassista perché il celebre liutaio non ha mai costruito contrabbassi) e io ho usato un violino diverso per ogni stagione. Pagine che ho inciso in seguito anche con altre formazioni e che, ascoltate oggi, mi dicono come è cambiato il mio modo di suonare».
E ha avuto qualche sorpresa riascoltandosi? «Premesso che ogni giorno cambia l’approccio di un musicista ai capolavori che ha di fronte – cambia se si suona in una sala piuttosto che in un’altra, cambia a seconda dell’umore – mi sono accorto che sono soprattutto le circostanze della vita a influenzare il modo di leggere una partitura. Negli anni sono diventato più tenero, specie dopo la nascita delle mie due figlie che oggi hanno sei anni e alle quali cerco di trasmettere l’amore e il rispetto per la musica. Una passione che hanno appresa ancora prima di nascere perché anche mia moglie è violinista».
Quella per l’educazione musicale tra i più giovani è una battaglia alla quale lei non si è mai sottratto. «Perché penso che la musica sia terapeutica per tutti. Non è solo una cosa bella da ascoltare, ma sa trasmettere valori fondamentali per tutti gli esseri umani. Anche per chi non è musicista. Questo, purtroppo, in Italia non lo si comprende. Non lo comprendono i politici che non danno adeguato spazio all’educazione musicale che è inesistente nel nostro sistema scolastico e laddove c’è è fatta male. In questi ultimi anni c’è stata una grande fioritura di talenti che, però, ha dovuto fare i conti con la difficile situazione che si vive in campo culturale. E inevitabilmente a farne le conseguenze sono i giovani. Da trent’anni con la fondazione Stauffer a Cremona cerchiamo di ovviare a questa mancanza formando gratuitamente i ragazzi. Ho avuto centinaia di allievi e a tutti è bastata la musica: nessuno ha avuto problemi di droga, di alcol, di devianza».
Come se lo spiega? «Non penso sia un caso. E che la musica migliori la vita l’ho anche sperimentato direttamente. Ho iniziato a suonare che avevo tre anni e per me era una cosa naturale rifare quello che avevo sentito suonare da mio padre o nei concerti trasmessi alla radio. E nella vita non mi è mancato nulla: studiavo musica, ma giocavo a pallone e a biliardo con i miei coetanei e rincorrevo le ragazzine, come fa qualsiasi adolescente. La musica, però, mi ha dato una marcia in più».
Oggi sono molti i musicisti delle giovani generazioni che cercano di svecchiare l’immagine della classica, magari suonano in jeans o esibendo tatuaggi. «Sono contrario a chi usa la musica per fare altri generi. Il
Concerto per violino di Beethoven deve essere suonato così come è scritto, certo con l’interpretazione che ciascuno ne vuole dare. Ma non può essere stravolto per fare spettacolo. Dispiace che ci siano violinisti dotati che sprecano il loro talento per fare contaminazioni che non giovano certo alla musica classica».
Cosa servirebbe allora? «Ridare alla musica il valore spirituale di cui è intrisa. Suonare i grandi capolavori in un certo senso ti fa capire che c’è qualcosa di molto più grande di noi, che sta all’origine di tutto. Non puoi non sentirlo ascoltando Schubert, Beethoven e Chopin. E soprattutto Mozart, un musicista che per me ha avuto un contatto diretto con Dio, traducendo in musica la sua presenza».