Come Shakespeare. O come I Beatles. Come il tè delle cinque, la bombetta, il bus rosso a due piani… Una volta James Bond era così. Stereotipatamente inglese. Ora – grazie a Daniel Craig interprete, e a Sam Mendes regista – forse un po’ meno. «Non volevo raccontare uno stereotipo. Ma un uomo. E dimostrare – aggiunge il regista (ieri a Roma col cast) – che anche un film d’azione può essere un film interessante». Inattesa crisi d’identità? Fatale cambiamento di rotta? Forse i bond-maniaci di mezzo mondo non hanno nulla da temere; di certo il ventitreesimo episodio della saga, a cinquant’anni esatti dai suoi inizi (ovvero
Skyfall, dal 31 ottobre nelle sale), è meno british, addirittura meno bondiano dei precedenti. Tanto per cominciare: stavolta l’agente segreto al servizio di sua Maestà non lotta in difesa dei destini dell’umanità, ma per risolvere un dramma privato, che vede il suo capo storico – la "M" di Judi Dench (per l’ultima volta nel ruolo) – perseguitata dalla vendetta d’un cattivo "anomalo", l’ex agente segreto Javier Bardem. «Evitare la solita formula della minaccia globale, in favore d’una vicenda più personale e semplice, è stata una scelta deliberata – conferma il regista (nonché sceneggiatore) Mendes –. E cosa c’è di più semplice della vendetta?». Lo stesso Daniel Craig, già da due film un Bond più camionista che gentleman, qui compie un atto inconcepibile per i bondiani di provata fede (pugnala un nemico alle spalle). «Si: è la prima volta che Bond assale qualcuno alla schiena – ammette Craig –. D’altra parte Bardem è il cattivo che più d’ogni altro l’ha spinto sull’orlo del baratro. È più che comprensibile che ricorra ad un metodo, per lui, inammissibile». Ma non è finita qui. C’è una battuta sull’omosessualità, che in realtà è solo la risposta alla provocazione del cattivo. E perfino la bond-girl di turno (Berenice Marlohe) è meno bod-girl del solito: trentacinquenne, non particolarmente sexy, meno astutamente spogliata. «Quando sono stata scelta – racconta l’attrice – io stessa mi ritenevo troppo matura per il ruolo. Ma stavolta i produttori volevano staccare col passato: volevano una bond-girl moderna, positiva, che riflettesse il nuovo ruolo della donna nella società. E poi lo stesso Bond invecchia. Perché non anche le sue partner?». Già: perché questa è l’altra, incredibile novità. L’inossidabile 007 comincia a denunciare i primi acciacchi. «Daniel Craig aveva già interpretato Bond – osserva Mendes –. Quindi ho potuto spingerlo verso un’interpretazione più vera, più sofferta. Stavolta 007 mostra nella sua vera età. Appare anche stanco, affaticato; talvolta incupito. Con un attore meno intelligente di Craig, preoccupato solo di apparire cool in ogni sequenza, non avrei potuto farlo». Ma insomma: Skyfall segna, a modo suo, la fine del mito di 007? «Diciamo che conserva la sua essenza classica, rivestendola però di una forma più attuale – sintetizza Craig –. Non abbiamo cambiato il personaggio. L’abbiamo rinvigorito grazie a nuove idee». Anche in vista del futuro: «Quando lascerò la serie voglio che 007 viva ancora a lungo – spiega l’attore (per contratto Bond ancora in due pellicole) – . E rimescolare le carte a questo modo preparerà al personaggio una dinamica nuova, tutta da inventare». E ai più accaniti fan della saga, che da quest’ultima puntata se ne sentissero traditi, replica: «Anch’io sono un fan di Bond. Neanche a me piacerebbe vederlo tradito. Ma 007 è solo cresciuto. Come il suo pubblico, del resto. Non si può continuare per cinquant’anni a fare sempre lo stesso film».