Un umile frate cappuccino rifiuta la tavola imbandita dei potenti e si mette alla testa di un esercito brandendo il Crocifisso. È Marco d’Aviano: «contemplativo itinerante, profeta disarmato della misericordia divina» lo descrive Giovanni Paolo II quando il 27 aprile 2003 lo proclama beato. Oggi questa figura di predicatore e taumaturgo che sprona gli Stati molto disuniti d’Europa a collaborare in difesa della cristianità contro l’invasione dei turchi, arrivati sotto le mura di Vienna nel settembre del 1683, non è propriamente quella di un fautore del dialogo. Per questo Renzo Martinelli, regista di <+corsivo>Undici settembre 1683<+tondo> che arriverà sugli schermi l’11 aprile prossimo distribuito da Microcinema, pur uso alle polemiche, se ne aspetta di nuove. «Le ho messe in conto – dice schietto – ma credo di aver fatto un film intellettualmente onesto in cui racconto la vita di questo frate e sacerdote straordinario, senza il quale, qualsiasi storico lo ammette, l’Europa avrebbe avuto un destino diverso. Se lui non avesse convinto papa Innocenzo XI, i principi e l’imperatore Leopoldo I a lasciare il comando dei loro eserciti al re di Polonia Jan Sobieski, la "mela d’oro", ossia Vienna, cuore pulsante d’Europa, sarebbe caduta in mano ai turchi. E l’obiettivo dichiarato di Mehmet IV, checché ne dica Franco Cardini, era quello di raggiungere Roma e trasformare San Pietro in moschea».Erano anni di guerre pressoché continue. Le religioni, anziché sopirle, le fomentavano. Marco, nel film, lo si vede in età già adulta predicare e guarire. Quando poi incita alla battaglia, lo fa per difendere, non per aggredire. F. Murray Abraham, lo interpreta alternando stati d’animo di compassione agli "eroici furori" tipici dei condottieri e dei santi dei secoli passati. «Per questo lo si deve calare in quel contesto storico, in una Europa che ha particolari dinamiche politiche e culturali. Solo così il suo comportamento diventa tollerabile e comprensibile. Certo oggi può suscitare un moto di fastidio vederlo davanti ai soldati con la croce, ma il suo atteggiamento era legittimo, così come quello del suo avversario Kara Mustafa». Questi ha il volto barbuto e olivastro di Enrico Lo Verso. Il suo colloquio notturno con Marco è al centro del film, rispecchia la loro integerrima fede. «Marco è convinto che il suo Dio lo spinga a guidare la Lega Santa in un tentativo di difesa dell’Europa, Mustafa che il suo lo spinga nell’opera di islamizzazione del mondo. Entrambi hanno ragione, è un dialogo tra sordi. Questa scena va collegata alla fine: da un lato la disperazione del frate sul campo di battaglia pieno di cadaveri, dall’altro lo strangolamento di Kara, sconfitto. Quindi il senso ultimo del film è la denuncia dell’insensatezza di tutte le guerre di religione, che nei secoli hanno sempre prodotto orrori».Epiche sono le scene di battaglia: i giannizzeri sotto il bastione del Burg che crolla, mentre l’Imperatore è già scappato a Lienz. Marco svetta sulla collina del Kahlenberg: lassù, in una nottata di temporale, Sobieski fa salire diecimila ussari e portare sessantadue cannoni, per prendere alle spalle l’armata musulmana. È l’11 settembre, l’analogia con quello del 2001 è evidente. Martinelli sfuma: «Non posso scappare davanti alla singolare coincidenza delle due date. L’accostamento dei due "11 settembre", comunque, non sono stato io a farlo, ma Bernard Lewis, uno dei massimi studiosi dell’Islam». Quanto alle possibili reazioni proprio dell’Islam, Martinelli si fa serio. «Il rischio c’è, ma credetemi siamo stati attentissimi, fino alla paranoia, a togliere dal film ogni scena che in qualche modo potesse offendere il mondo musulmano. Ho cercato di tenere in perfetto equilibrio il punto di vista di entrambi gli schieramenti. Addirittura ho inventato il personaggio di Abu’l, che è un ponte tra le due culture: alla ragazza sordomuta che sta con lui confessa che tra il cuore e la fede, lui sceglie la fede, ma poi l’amore vince sulla sua ottusità». A proposito di ottusità, Martinelli si scaglia contro quanti gli hanno affibbiato l’immagine del regista leghista. «Un’assurdità nata col Barbarossa. Io non sono leghista e non ho mai avuto alcuna forma di appartenenza a quel partito. A distanza di mesi accetto la critica di aver fatto un errore nel dirigere quel film, la Lega lo ha fagocitato e l’ha trasformato in una operazione politica. Ma che questo su Marco d’Aviano, come alcuni hanno già scritto e dicono, sia un film leghista e anti-islamico, è una palese falsità». Non pago, il regista lombardo si appresta ad affrontare – inizio delle riprese a luglio – un nuovo capitolo spinoso della recente storia italiana, dopo
Vajont - La diga del disonore. «È da tre anni che sto lavorando al caso dell’incidente aereo di Ustica. Purtroppo, molto di quello che noi leggiamo sui libri di storia lo scrive la ragion di Stato. Lo ha fatto anche per quelle 88 persone uccise mentre volavano il 27 giugno 1980. Nei giorni successivi, la verità era chiarissima, ma poi si è alzata la polvere. Cerco di spazzarla via con un minimo di impegno etico».