Il demografo Alessandro Rosina non ha dubbi: concentrare le risorse sui giovani è sempre la mossa migliore. Anche e specialmente se parliamo di musei. «Alla base di tutto – insiste – sta l’anomalia italiana. Da noi ci sono meno giovani rispetto ad altri Paesi, e già questo è grave. Ma non dobbiamo dimenticare che anche gli investimenti a loro destinati sono più modesti che altrove. La strategia da adottare, invece, dovrebbe essere quella di compensare la riduzione quantitativa con il potenziamento qualitativo, così da far crescere una generazione più competente e motivata».
Sì, ma il museo che ruolo gioca?«Molto importante, anche sul piano simbolico. Oggi i ragazzi italiani vivono un forte sentimento di frustrazione nei confronti di un Paese che, ai loro occhi, continua ad avere potenzialità straordinarie e, nel contempo, straordinariamente sottoutilizzate. Questa contraddizione è rappresentata in modo emblematico dalle condizioni in cui versa il nostro patrimonio artistico e culturale. Se vogliamo invertire la tendenza, trasformando i giovani da oggetto di politiche sociali a soggetto attivo della società, non possiamo che ripartire da qui: dall’arte e dalla cultura».
Anche a costo di chiedere ulteriori sacrifici agli anziani?«L’eventualità di una contrapposizione e quindi di uno scontro fra generazioni va scongiurata nel modo più assoluto. Ma non mi sembra che sia questo il caso. Qui si tratta semmai di riequilibrare risorse e privilegi. Detto semplicemente: non c’è nessun motivo per cui agli <+CORSIVOA>
over 65 <+TONDOA>debba essere garantito l’accesso gratuito ai musei in forma indiscriminata, indipendentemente dalla situazione economica di ciascuno. Tra di loro c’è chi può permettersi di pagare il biglietto a prezzo pieno, chi può rivendicare uno sconto e, infine, chi deve essere ammesso gratuitamente. Nel caso dei giovani, invece, il principio di gratuità non ammette eccezioni».
E perché?«Perché è un modo per rendere autonomo il soggetto, a prescindere dalla sua situazione familiare. Quando mi rivolgo a un giovane, mi rivolgo alla sua persona e, nello stesso tempo, sto contribuendo a formare la sua personalità. Non si tratta mai di un investimento a fondo perduto, ma di un circolo virtuoso che a volte richiede davvero poco per essere innescato».
A che cosa si riferisce?«Al fatto che il patrimonio artistico e culturale costituisce sì un valore simbolico, come abbiamo già detto, ma può e deve tradursi in valore economico. Ora come ora questo non avviene perché i musei sono percepiti come una realtà immobile, bloccata in se stessa. Avvicinare i giovani a queste istituzioni significa accorciare le distanze tra i tesori che abbiamo ereditato dal passato e le buone pratiche del presente. Penso al digitale, con tutto quello che il termine implica. Siamo un Paese che invecchia, è vero, ma interessarci unicamente degli anziani sarebbe un errore imperdonabile. Occuparci di più e meglio dei giovani non è solo una scelta di opportunità. È anche, in prospettiva, un ottimo affare».