I «mille giorni» chiesti dal premier Matteo Renzi per riformare l’Italia hanno suscitato le battutine al vetriolo di molti esponenti delle opposizioni. Ai quali non è parso vero di poter rinfacciare al giovane presidente del Consiglio l’attestazione di una dilatazione dei tempi dopo le iniziali promesse di riforme a tamburo battente. Al di là di questi aspetti polemici, che attengono alla fisiologia del dibattito politico, c’è invece da segnalare quasi una metamorfosi di Matteo Renzi che ieri in Parlamento, durante la discussione sulle linee guida del semestre di presidenza italiana dell’Ue, è sembrato meno "spaccone" e più pensoso del solito. Renzi ha infatti fissato gli obiettivi finali delle realizzazioni del suo governo nel medio e nel lungo periodo e, soprattutto, legando strettamente i destini italiani a quelli complessivi dell’Unione Europea. Non è stato dunque un caso che il presidente del Consiglio abbia esplicitamente parlato del suo primo periodo di permanenza a Palazzo Chigi come «i primi 100 giorni più o meno scoppiettanti». Cento giorni che gli hanno permesso di ottenere quel risultato elettorale straordinario alle elezioni europee che ha rafforzato e caratterizzato la sua leadership in Italia e in Europa ma che ora, sembra dire il premier, devono lasciare il passo a una nuova fase.In questa luce si capisce anche la «fretta», che ha prestato il fianco a molte critiche, con la quale il governo è intervenuto nel dibattito sulle riforme della Costituzione. A costo di qualche forzatura – di metodo e di merito – il nuovo Senato targato Renzi deve diventare il biglietto da visita del premier in Europa, con il quale spera di mandare in soffitta lo stereotipo di un’Italia immobile e non riformabile. E di far contare di più il nostro Paese al tavolo europeo.Perché Renzi sa benissimo che la partita vera si gioca lì, su quel tavolo. E che il suo governo, alla resa dei conti, sarà giudicato soprattutto per la capacità di far ripartire l’economia, la crescita e l’occupazione.È qui che la sfida italiana si collega direttamente con quella europea. Ma è anche qui che il governo Renzi, che si è fatto conoscere fino ad ora per la sua discontinuità, ritrova il collegamento con gli esecutivi precedenti, segnatamente con quelli di Mario Monti ed Enrico Letta, che si muovevano in un solco decisamente europeista, chiedendo al contempo all’Europa di allentare il patto di stabilità e di permettere investimenti capaci di favorire la ripresa economica. Quella di cambiare la politica economica europea, senza chiedere di tornare ai tempi della finanza pubblica allegra, è con ogni probabilità la sfida più impegnativa che il capo del governo italiano si è assunto con il discorso di ieri. Una sfida che fa davvero tremare le vene e polsi, di fronte alla quale le piccole nostre polemiche quotidiane, in Parlamento e sui giornali, impallidiscono fino a scolorire del tutto.