Altro che «yes we can», in Italia il motto è «no, ’un si pole». Era previsto, e sta accadendo: il lungo tour di Matteo Renzi negli Usa si sta trasformando in un affondo permanente ai «conservatori» di casa nostra. «Alcune cose vanno cambiate in modo quasi violento – spiega il premier nella simbolica visita alle start-up italiane della Silicon Valley –. Basta piangersi addosso, faremo di tutto per cambiare l’Italia. Sappiamo che ci vuole una rivoluzione sistematica. Faremo arrabbiare qualche sindacato e qualche parlamentare, ma se si arrabbiano loro facciamo fare un passo avanti a tutti».È un discorso che riguarda tutte le riforme, ma la testa è lì, al jobs act che nelle ultime ore è stato "aggredito" da Cgil e minoranza Pd. «Non si cambia se si ha la testa striminzita», insiste il premier davanti ai "geni" italiani dell’innovazione che hanno trovato finanziamenti e sostegno negli States. Andando avanti di questo passo, mentre San Francisco sarà sempre più la «città del futuro», Roma sarà sempre più la «capitale del passato».Laddove flessibilità e mobilità sul lavoro sono un mantra, il premier trova il terreno più fertile per spiegare il senso delle riforme che vuole portare avanti. «Non vi chiedo di tornare – dice ai ricercatori espatriati –, vi dico che tra mille giorni l’Italia sarà così semplice che ne avrete voglia non solo per le pappardelle e il vino», è la promessa impegnativa del presidente del Consiglio. Che poi aggiunge: «Oggi l’Italia ha un premier con meno di 40 anni, libero da padrini e padroni, perché il Paese si è stancata dei soliti noti». Infine l’appello a chi ha trovato successo fuori patria: «Le riforme non bastano, servono idee e cervelli, aiutateci».Il viaggio è fatto per esaltare il renzismo. Domenica l’approdo - seguito dalla moglie Agnese in elegante abito beige - nella prestigiosa università di Stanford dove ha incontrato due studenti d’eccezione, Condoleeza Rice e Ronald Spogli. Ieri il faccia a faccia con le start-up e, quando in Italia era notte, le visite alle sedi di Twitter e Yahoo con accoglienza d’eccezione dei due amministratori delegati, Dick Costolo (con il quale si è parlato di possibili investimenti del social in Italia su turismo e pubblica amministrazione) e Marissa Meyer.Il filo con Roma è però diretto. In questi cinque giorni di tour Renzi ha messo le chiavi della macchina in mano a Lorenzo Guerini, Giuliano Poletti e Filippo Taddei. L’obiettivo del trio è spianare la strada alla legge-delega perché sia prima sostenuta dalla direzione Pd del 29 e poi approvata senza stravolgimenti al Senato, con la promessa però che i decreti attuativi (in particolare quello sul nuovo contratto a tutele crescenti) saranno preceduti da una mediazione corposa.Si procede dunque nella direzione di una tregua che consentirebbe all’esecutivo di portare lo scalpo della riforma a Bruxelles prima della legge di stabilità. Ma finché la minoranza non darà segnali chiari di desistenza, l’ordine è sparare altissimo. Basta sentire il fedelissimo Luca Lotti («Chi ha perso le primarie non può dettare la linea») per capire che la guerra è più sui nervi che sulla sostanza.Al rientro, oltre al dossier-lavoro, il premier troverà anche i conti di Padoan per scrivere il Def e la legge di stabilità. Le parole di ieri di Draghi si prestano a una doppia lettura: da un lato, accertando la recessione, si certifica che c’è bisogno di allentare l’austerity; allo stesso tempo, invitando chi ha «poche risorse» a «invertire le priorità», la Bce sembra chiudere le porte alla flessibilità sui conti. Ma il governo ci proverà lo stesso ad ottenere qualche margine, ad esempio chiedendo nuovamente di scorporare parte del cofinanziamento ai fondi strutturali. D’altra parte la mole di impegni assunta dal premier è enorme: buon ultimo, il miliardo per sbloccare gli scatti delle forze dell’ordine (l’incontro per sancire l’intesa è fissato al 7 ottobre).Il premier si sposta oggi a New York per assaggiare il clima Onu e per l’incontro con Bill e Hillary Clinton. Giovedì il suo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni unite, venerdì l’attesa visita agli stabilimenti Fiat-Chrysler di Detroit alla presenza di Marchionne e Andrea Agnelli.
Il premier dagli Usa: "serve una rivoluzione sistematica".
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