Scatenato il presidente siriano Bashar al-Assad, che sui media russi lancia la sua controffensiva mediatica con dure accuse all’Occidente sulla crisi dei migranti e precisa: me ne andrò solo su richiesta del mio popolo. A Damasco, quindi, non si pensa a nessuna uscita di scena concordata, ma semmai si chiede una netta inversione di rotta della coalizione internazionale. Se questo non avverrà, ammonisce Assad, la situazione non potrà che peggiorare. «Questi rifugiati hanno lasciato la Siria principalmente a causa del terrorismo e delle uccisioni, e poi per i risultati del terrorismo», ha dichiarato il presidente siriano. «L’Occidente piange per loro» ma «sostiene i terroristi dall’inizio della crisi quando si diceva che era una rivolta pacifica». L’invito ai Paesi Ue e a Washington è chiaro: «Smettete di sostenere i terroristi, questo è il cuore dell’intera questione dei rifugiati», ha insistito Assad, avvertendo che l’Occidente avrà «ancora più rifugiati» se continuerà a «seguire la propaganda» che punta il dito contro i crimini del governo siriano per spiegare l’esodo dei profughi. Quanto alle richieste di una uscita di scena onorevole e negoziata, la risposta del leader siriano è sempre la stessa: il presidente «assume il potere con il consenso del popolo attraverso le elezioni e se lascia lo fa su richiesta del popolo, non per decisione degli Stati Uniti, del Consiglio di sicurezza dell’Onu o della Conferenza di Ginevra». La crisi sull’immigrazione, vista da Damasco, rappresenta una opportunità a condizione che si verifichi una sterzata di 180 gradi negli obiettivi della comunità internazionale. Damasco si dice pronta a cooperare con l’Occidente nella lotta al terrorismo, ma «Paesi come Turchia, Qatar e Arabia Saudita, così come Francia, Stati Uniti e altri Stati occidentali che sostengono il terrorismo – ha aggiunto Assad – non possono combattere il terrorismo da soli. Non ci si può opporre ai terroristi e stare allo stesso tempo dalla loro parte», ha affermato il presidente siriano perché «il terrorismo è uno scorpione: se te lo metti in tasca, ti pungerà di sicuro». Il presidente siriano ha però precisato che, «se questi Paesi decidono di cambiare la loro politica», il governo di Damasco «non si opporrà alla cooperazione con loro a condizione che sia una coalizione antiterrorismo reale e non illusoria». Un chiaro messaggio, facendo sempre più affidamento sull’asse con Mosca che, rivela Assad, sta lavorando a una «Ginevra 3», vale a dire a una nuova conferenza internazionale. Un asse che il Cremlino ieri ha voluto rinsaldare smentendo le rivelazioni del premio Nobel Martti Ahtissari sull’esistenza, tre anni fa, di un piano russo che prevedeva l’uscita di scena di Assad. La Russia, ha precisato lo Stato maggiore, non ha al momento in programma di costruire una base aerea in Siria, anche se «tutto può succedere ». Le preoccupazioni di Mosca sono piuttosto per i foreign fighter russi che combattono a fianco del-l’Is: sono tra 800 e 1.500 e più di 170 sono morti combattendo al fianco dei terroristi. Questo mentre i progressi nella campagna anti-Is della coalizione a guida Usa sono «molto modesti » e secondo l’ambasciatore russo all’Onu Vitali Ciurkin, ora gli Usa non vogliono più la caduta del regime di Damasco, sono preoccupati che «Assad cada, l’Is prenda Damasco e gli Usa siano incolpati di ciò» Una forte pressione diplomatica di Mosca per riformulare obiettivi e strategie della coalizione che ieri ha registrato il primo raid aereo dell’Australia in Siria contro obiettivi dell’Is. Il presidente statunitense Obama starebbe valutando la possibilità di un incontro con Putin durante l’assemblea generale Onu. Un passo molto sofferto per Obama, mentre il segretario di Stato Kerry ha avvertito il collega russo Lavrov che il sostegno ad Assad «rischia solo di aggravare il conflitto ». La Russia, ha rivelato Kerry, ha proposto di avviare una discussione militare. Un sostegno della Russia alla coalizione internazionale anti-Is «è benvenuto – fa sapere poco dopo una nota della Casa Bianca –. Ma ogni sforzo mirato a rafforzare le relazioni col regime di Assad sarebbe controproducente».