È stato per sei mesi in mezzo alle stelle, esattamente nel punto in cui arrivano i sogni di un bambino. E da lassù, sopra gli oceani e le montagne, sui deserti, le città e i fiumi ha fotografato il nostro pianeta. Fino a ieri al Meeting non s’era vista una sala così piena. Un mare di gente per sentire Paolo Nespoli, l’astronauta italiano che è stato per più tempo nello spazio. Ci ha portati tutti lassù. Tree… two… one… zero… Fiuuuuuu! A 28mila chilometri all’ora, sette chilometri al secondo, dal Meeting alla stella che è più vicina all’Infinito. Non per dire «guardate come sono stato bravo» o «ammirate il Superman che sono», ma per spiegare, specie ai ragazzi del Meeting che ieri si sono imbarcati nel “viaggio”, che tutti possono farlo, perché - appunto - per toccare il cielo non è necessario essere Superman. Da bambino sognava di passeggiare sulla Luna, come aveva fatto Armstrong, e a 26 anni, ancora senza laurea e senza sapere un parola di inglese, decide di andare in America, per studiare lì, per mettersi sulle tracce di Armstrong, Aldrin e Collins che lo avevano incantato. «Non è facile – spiega l’astronauta – capire da giovani cosa fare e se si è capace di farlo. Ero come davanti a una foresta. Che fare? Attraversarla? Ma ce l’avrei fatta?». Si addentra nel fitto del bosco e lo attraversa, arriva dall’altra parte, la notte non lo ha sorpreso sotto gli alberi, vede il sole. Si laurea, entra a far parte del corso di aspiranti astronauti a Huston proprio dove, prima di lui, erano stati i tre uomini della luna. Nespoli ripercorre la sua vita in fretta perché ha le foto del viaggio da mostrare, come farebbe ciascuno di noi che ha trascorso le vacanze in montagna, ai Caraibi o a Riccione. Ci porta ai piedi dello rampa dove è montato lo Space Shuttle Discovery. È il 7 novembre 2007. Lui fa parte dell’equipaggio. La gente venuta da Verano Brianza, dove è cresciuto, mostra cartelli con scritto “Go!” Si accendono i motori e non resistono. Cantano “Volare oh oh!” «Ah! Questi italiani!», dovettero dire gli americani. E via, su in alto a quella velocità folle. In orbita a 600 chilometri sopra le nostre teste in 8 minuti e mezzo. Scherza: «È come andare in poco più di otto minuti da Milano a Roma. Che non è male. Ma chissà quanto ce lo farebbero pagare!». E i ragazzi applaudono. Sono in orbita. Unico inconveniente: si sale e a forza G3. Per intenderci è come avere su di noi tre persone del nostro stesso peso. «Ma tranquilli – assicura – si può fare. È un peso sopportabile. Lo scienziato possono farlo tutti». Tocca fidarsi. Dice poi quello che dirà a sua figlia Sofia che oggi ha soltanto tre anni: «Tutti desiderano diventare cantanti, calciatori, veline o attori, ma anche lavorando per la scienza si può avere successo». Spiega la vita di bordo, l’assenza di gravità, l’impegno in esperimenti scientifici che avranno una ricaduta sociale e che perfino in una lavatrice possono finire le tecnologie inventate per stare in mezzo alle stelle. Lassù si fa sport (è necessario farlo) e si fa attenzione all’alimentazione. Rivolto ancora ai ragazzi dice che la vita sedentaria e una sregolata alimentazione non aiutano e non sono salutari. Nespoli il tempo libero l’ha impiegato per fare qualche foto… Ventottomila! E le mostra (non tutte) a chi sta a sentirlo, proprio come farebbe un amico che è appena tornato dalle stelle. Indovinato qui dove siamo? Un coro: «Il Rio delle Amazzoni». E qui, e qui, e qui? Il Vesuvio, il Nilo, la Florida! Poi si vede lo Stivale tutto intero e tutti applaudono. Nespoli mostra le città illuminate di notte e lo spreco di energia, le coste marine deturpate dall’uomo. Sembrano quadri astratti, ma sono pezzi del pianeta che soffre. Forse, vuole dire, se lo vedessimo tutti da lassù impareremmo a rispettarlo davvero. Il viaggio dura poco più di un’ora. Poi la fantasia atterra da dove è partita, nella sala B7, una delle più grandi del Meeting, e un grande applauso sottolinea l’atterraggio perfettamente riuscito.