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Per garantire i diritti dei profughi è stato creato un intervento di assistenza e tutela legale per i profughi respinti negli hotspot. È il progetto Open Europe, promosso da Oxfam, Borderline Sicilia e Diaconia Valdese. Partendo dal rapporto di Oxfam sulle violazioni legali nei nuovi centri previsti dall’agenda Ue, le tre associazioni hanno ritenuto urgente intervenire per contenere i rischi di chi, una volta respinto, resta fuori dal sistema di assistenza.
Chi sono i profughi respinti negli hotspot
Nel dossier «Hotspot, il diritto negato» di Oxfam viene denunciato come «i respingimenti collettivi di migranti e il loro trattenimento prolungato negli hotspot di Pozzallo e Lampedusa violino la normativa internazionale sull'asilo e abbiano creato in questi mesi una vera e propria emergenza sul territorio siciliano».
Secondo i numeri riportati dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione ed espulsione dei migranti, ad esempio la sola Questura di Agrigento ha emanato decreti di respingimento per 1.426 persone da settembre a gennaio, e di queste solo 311 sono finite in un CIE (Centro di identificazione ed espulsione).
Tutti gli altri sono stati messi per strada con un foglio che li invita a lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni:
«È ovvio che nessuna di queste persone, se anche ne avesse la volontà, avrebbe i mezzi economici per arrivare a Roma e acquistare un biglietto aereo di ritorno nel proprio paese, né potrebbe farlo, in assenza di documenti e titoli di viaggio. – si legge nel rapporto Oxfam - Le persone respinte non possono quindi che andare a ingrossare le fila degli irregolari, costretti in alloggi di fortuna, senza nessuna prospettiva».
Stando alle stime dei promotori dell’iniziativa sarebbero già oltre 4mila le persone che hanno ricevuto un respingimento differito, con l’obbligo di lasciare il paese entro 7 giorni, dopo essere entrati in uno degli hotspot attivi nel nostro paese.
Quali sono i limiti del sistema hotspot?
«Il sistema hotspot non sta funzionando - ha sottolineato Roberto Barbieri, presidente di Oxfam Italia -: siamo fuori da qualsiasi quadro giuridico. Ci sono, quindi, grandi difformità e non si riesce mai ad avere una garanzia per le persone che vengono intervistate all’interno degli hotspot. Il problema, quindi, non è aprirne altri o renderli 'galleggianti'. Il problema è che noi stiamo spingendo molto, perché ci sia una disciplina giuridica degli hotspot e che si sappia in maniera oggettiva che cosa avviene all’interno di essi e quali siano le procedure applicate».
Tra le persone intercettate finora anche molti soggetti vulnerabili come le donne e i minori non accompagnati. «Molti di loro si ritrovano in mezzo a una strada - ha spiegato Paola Ottaviani, avvocata di Borderline Sicilia, altro parner del progetto -. I pochi fortunati che hanno incontrato le associazioni sono rientrati nel sistema accoglienza, ma molti altri sono finiti chissà dove. Inoltre, ci sono centinaia di minori trattenuti negli hotspot. Per irregolarità simili l’Italia è stata già condannata alla Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr)».
Succede così che interrogatori identificazioni e registrazioni proprie delle procedure degli hotspot avvengano in violazione di una serie di diritti che riguardano anche donne e bambini specie minori non accompagnati ha spiegato Massimo Gnone, referente migranti per la Diaconia valdese, in un'intervista alla Radio Vaticana: «Non capisco cosa cambi. Se noi, cioè, facciamo l’identificazione in mare, sulle navi, noi avremo una parte che viene ammessa al circuito dell’accoglienza e una parte no. Questi comunque vengono tutti riportati a terra e hanno la stessa procedura. Spostiamo, quindi, semplicemente l’attività identificativa sulle navi. Qui non è questione del numero di hotspot che verrà aperto, qui la questione è come questi hotspot verranno disciplinati e soprattutto come funzionerà il sistema di ricollocamento all’interno dell’Unione Europea. Finché non c’è questo, è soltanto un aggravio di procedure, ma che non affronta in maniera diversa quello che succedeva nei centri di primo soccorso e accoglienza».
L’idea, quindi, è quella di creare un sistema integrato di supporto legale e sostegno materiale ai migranti, che va dal ricorso, alla possibilità di chiedere asilo fino all’accoglienza.
Come funziona il progetto OpenEurope?L’iniziativa è partita il 9 maggio scorso, ed è attiva in tutta la Sicilia. Un’unità mobile costituita da un operatore socio-legale e un mediatore linguistico-culturale ogni volta in cui viene segnalata la presenza di migranti respinti raggiunge il posto e si mette a disposizione per fornire loro assistenza legale per presentare ricorso verso il decreto di respingimento e per avviare la procedura di richiesta di asilo, informarli sui loro diritti e orientarli verso strutture di accoglienza a disposizione del progetto e di altri enti.
Il team mobile fornisce anche un sostegno materiale ai soggetti respinti intercettati per garantire uno standard minimo di sicurezza, distribuendo loro alcuni beni di prima necessità come un mini kit igienico-sanitario per uomini, il Dignity Kit per le donne, abiti, calzature, indumenti intimi, cibo confezionato, acqua, schede telefoniche locali ed internazionali. Ai soggetti più vulnerabili - riporta l'agenzia Redattore sociale - verranno inoltre offerti una degna accoglienza e servizi di orientamento e inclusione presso piccole strutture dedicate, dove potranno permanere per un periodo limitato di tempo durante il quale espletare le pratiche legali per permettere loro di essere accolti in strutture destinate ai richiedenti asilo.