Un altro scandalo, un altro disgusto, un’altra disperazione. Gli arresti di ieri mattina, i nomi eccellenti e anche stimati, le accuse di sporchi affari, di soldi e favori, di appalti e tangenti, di politica e di forzieri ricolmi, cose già viste e udite per amara consuetudine, non ci paiono più neppure una sferzata alla coscienza, ma un urto allo stomaco. Possibile? Sentiamo a tutta prima dibattersi in noi le opposte emozioni: d’incredulità da un lato, per lo sconcerto che ci procura il panorama accusatorio, che squassa la quiete (o l’illusione) che pensavamo costruita con le sentenze di vent’anni fa, dentro il ciclone di Mani Pulite, e poi con le leggi anticorruzione, antimafia, anticamorra, antitutto. Dall’altro lato ci torna di colpo il retrogusto amaro d’una dannata sventura che ancora non cessa di incombere sulla nostra vita come una nube di fango, e irride non solo alla virtù, ma allo stesso furore popolare, già schietto, fattosi ormai vano quanto più urlato e scomposto. Come in tutte le vicende che si ritengono tramate nell’ombra, e che si investigano frugando nell’ombra, è d’obbligo la prudenza e la verifica, prima di dire "ecco la verità, preparate la gogna", perché l’ombra può far scambiare lucciole per lanterne. Terremo dunque ben ferma, e non per gioco o ipocrisia, la garanzia costituzionale che non avalla la colpa presunta dei sospettati, ma l’innocenza fino a condanna definitiva. E dei singoli non diremo più nulla, dopo stupore e dolore (perché in ogni caso è dolore).Ma nella nuvola nera che ancora una volta gli inquirenti ritengono di veder disegnata sul nostro orizzonte dobbiamo pur ficcare gli occhi, e rammentare quante altre tempeste passate, e quante future si pronosticano se non si pone riparo, e quale cloaca ci è già toccato di svuotare a metà senza riuscir nell’impresa se nuovi afflussi di sterco incessante distruggono l’opera. Ci chiediamo perché ogni volta che nascono progetti di "grandi opere" si temono, si scongiurano, e poi si scopre o sospetta che ancora si incrociano "grandi maneggi", dove si aggirano personaggi famelici con le sporte voraci del bisogno di cassa "politico". Vergogna, questa prostituzione è vergogna. Ma per giunta, non è vergogna solitaria. Non sfugga ai censori giustamente furibondi la vergogna dei "clienti" della prostituzione politica, i corruttori dalle mazzette pronte, buon investimento ai loro profitti. Gli uni e gli altri in viluppo impuro.Secondo Transparency International, in fatto di corruzione l’Italia si colloca in coda alla classifica dei Paesi d’Europa e dei membri del G20. La parola "appalto", che è un termine giuridico totalmente innocente, sembra diventato da noi una parola sconcia, da non dire se sono presenti i bambini. Abbiamo dedicato agli appalti pubblici un intero e apposito codice, con un decreto legislativo del 2006, numero 163. Abbiamo riformato il codice penale sulla corruzione, con una legge del 2012, numero 190. E cos’è cambiato? E forse adesso accadrà, come succede a un malato che gira su un fianco e sull’altro il suo persistente e immutato dolore, che si reclami, e si escogiti, e si scriva, e si gridi, qualche altro posto di blocco, e di controllo, e di strettoia, e di adempimento previo, e di soggezione a intrecci di norme e di funzionari e di filtri.Benedette gride, virtuose nell’intenzione. Efficaci? Forse sì, nel dare impaccio agli onesti, che pur le possono adempiere. Per i disonesti, le scorciatoie sono invogliate quanto più impervia è la retta via.Non c’è dunque scampo, al pronostico nero? Forse c’è. Già più di vent’anni fa gli studi sulla criminogenesi additavano come innesco preferito al delitto l’impasto fra la volontà di potenza e l’avidità di denaro. È questa impura religione del soldo scambiato tra i forti che va sconfitta in radice; è questa la mafiosità residua e perdurante, dopo tutte le campagne gridate. Epperò, non per solo strappo di foglie marce, né per pulizia giudiziaria periodica di una sporcizia autorigenerante, si otterrà premio. Ci vorrà una rivoluzione culturale, che proponga dall’infanzia una bandiera civile di onestà, che non si tradisce per Mammona. E pensare che un po’ di Vangelo…