martedì 29 maggio 2012
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​Partite pilotate, ancora. Scommesse con il trucco, un’altra volta. Calciatori in manette, e dai. Blitz dei carabinieri all’alba, se possibile alla vigilia di qualche importante evento sportivo per aggiungervi drammaticità, già visto. L’ennesimo fattaccio legato al calcio si sta consumando secondo un rito consueto. Esecrazione verso i presunti rei: guadagni da nababbi, popolarità alle stelle, eppure a loro non basta, la fame di denaro innesca una deriva bulimica: di più, di più, di più; e con ogni mezzo, a costo di rompere il giocattolo che certamente hai amato, un remoto giorno nel passato; e ora tradisci come il peggiore degli amanti. E poi: speranza, cinica, che la propria squadra se ne tragga immacolata e le squadre altrui ne escano luride; la falsa promessa – «basta calcio, non vedrò più una partita in vita mia, sono disgustato!» – di chi a fine agosto sarà di nuovo lì a gioire e patire con gli occhi fissi al rettangolo verde.In realtà, questo ennesimo atto della periodica rappresentazione del marciume pallonaro è diverso dal passato. C’è qualche grosso nome, ma i veri grossi nomi non sono coinvolti; e se lo spettacolo s’è avvantaggiato del raduno degli Azzurri a Coverciano, alla vigilia degli Europei, con perquisizioni – a che scopo? – nelle stanze di qualche giocatore, di diverso c’è la piena collaborazione di chi, tesserato venuto a conoscenza di presunti reati, ha rotto l’omertà e ha sporto denuncia. Insomma, la sporcizia potrebbe esserci (condizionale di prudenza, mai eccessiva), è diffusa, ma non generalizzata.Chi ama davvero il calcio chiede scusa agli «agnostici» per il disturbo, scuote il capo ma non si scompone. Il gioco ha radici troppo profonde nel cuore delle società, non solo dei singoli individui, per essere abbattuto dalla miserabile grandinata di un’alba di fine maggio. Proprio perché vibra nelle corde misteriose e profonde dei popoli, a capirlo e spiegarlo meglio non sono sociologi o psicologi, ma scrittori e poeti. Come Jorge Luis Borges: «Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì comincia la storia del calcio». Che cosa volete che importi a quel bambino, ai mille diecimila centomila bambini che in questo momento prendono a calci un pallone di cuoio o di stracci, o un barattolo vuoto, di Mauri e Doni e degli altri presunti «spacciatori di scommesse»? Per quanto gli sciagurati provino ad ammazzarlo, e i denigratori godano di tanto micidiali mazzate, se Pier Paolo Pasolini aveva ragione quarant’anni fa, figuriamoci adesso: «Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo». Una sacralità laicissima, ma come non intravedere le modalità del rito (profano) nella folla che si avvia allo stadio-santuario a celebrare la partita, o s’incolla davanti al televisore-totem, e si riversa in strada in sciami di pellegrini festanti in caso di vittoria?Con buona pace dei ragionevoli e saggi agnostici e miscredenti pallonari, il calcio resisterà anche a questa buriana, imparando – è la speranza – a proteggersene meglio. E magari a coltivare una dote troppo rara tra calciatori, allenatori, dirigenti e giornalisti (ah, i talk show!): l’ironia. Quella di cui era maestro il nazionale scozzese e mitico allenatore del Liverpool, Bill Shankly: «C’è chi dice che il calcio sia questione di vita o di morte: non concordo con questa affermazione; posso assicurare che è una questione molto, ma molto più seria». È chiaro perché per liquidare il calcio non bastano i blitz all’alba e le manette a un calciatore o i sordidi maneggi per pilotare partite di serie B? Ma se ancora coltivassimo in cuor nostro un dubbio, passiamo di fianco al campetto di un oratorio, un pomeriggio di sole; i ragazzini che inseguono la palla, lanciandosi grida di gioia e di delusione e di speranza, sono una calamita irresistibile, più di qualsiasi rappresentazione televisiva, più di ogni altra cosa. Impossibile non fermarsi a guardarli, sorridendo a noi stessi e cedendo al loro ineffabile fascino. Anche senza aver letto Borges.
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