martedì 12 maggio 2015
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Nessuno può sapere oggi se davvero il presidente cubano Raúl Castro porterà a compimento il percorso interiore prefigurato domenica dopo l’incontro con il Papa, e cioè il ritorno alla Chiesa cattolica proprio a causa di quanto Francesco sta dicendo e facendo nel corso del suo pontificato. Solo a Dio è possibile (e lecito) guardare nelle coscienze degli uomini. Quel che però è certo dal 17 dicembre dello scorso anno, e appare ancor più chiaro dopo la visita dell’attuale "numero uno" di Cuba in Vaticano, è che il primo Papa latinoamericano della storia, continuando in modo assolutamente originale sulla strada dei suoi predecessori (che a Cuba hanno dedicato molta attenzione), sa aprire strade e porte impensabili fino a poco tempo fa anche sul fronte strettamente diplomatico. Qualcuno potrebbe dire che dopo aver visto san Giovanni Paolo II dare la spallata finale al Muro di Berlino, non dovremmo più sorprenderci di nulla. Piuttosto ad essere sorpresi - ieri come oggi - dovrebbero essere quelli che un tempo ragionavano come Stalin («Quante divisioni ha il Papa?») e che ora – di fronte alle terribili crisi politico-militari del nostro tempo – tendono a «guardare dall’altra parte» (anche qui il copyright è di papa Bergoglio) e a opporre le classiche orecchie da mercante ai suoi accorati appelli in favore della pace (forse perché effettivamente anche «mercanti di armi»?, altro tema sul quale proprio ieri il Papa è tornato ancora una volta). Eppure, permetteteci di dirlo con franchezza, non si può non restare stupiti (e ammirati), quando un Pontefice come Jorge Mario Bergoglio si svela come il grande mediatore che ha permesso a Usa e Cuba di riprendere dopo cinquant’anni i rapporti diplomatici (a ottobre dello scorso anno, come si sarebbe saputo solo in quello storico 17 dicembre, il Vaticano fu il terreno riservato dell’ultima e decisiva mediazione). E non lo si può non essere, stupiti (e ammirati), perché nulla più della diplomazia sembrerebbe a prima vista "lontano" dallo stile pastorale e diretto del Papa. Invece, in poco più di due anni, Francesco è stato il primo e unico Pontefice a sorvolare la Cina e a mandare messaggi di saluto al presidente cinese, senza essere criticato dagli organi di stampa ufficiali del gigante asiatico. È stato capace, con la sola forza della preghiera, di scongiurare l’allargamento del conflitto siriano alle grandi potenze. Ha messo l’uno di fronte all’altro, nei giardini vaticani, l’allora presidente israeliano Shimon Peres e il suo omologo palestinese, Abu Mazen. E al giornalista che in uno dei viaggi internazionali gli chiedeva se – alla luce del successivo conflitto israelo-palestinese – non ritenesse «un fallimento» quell’iniziativa di pace, rispose di no, perché quell’incontro aveva riaperto la porta del dialogo. Una porta che nessuna guerra potrà più richiudere del tutto. La vicenda Usa-Cuba – coronata da successo anche sul piano dei risultati pratici – sembra essere la conferma del fatto che il fascino evangelico di Francesco ha una sua presa sulla gente della strada come sui potenti del mondo. Il Papa che chiede ai sacerdoti di avere l’odore delle pecore, non dimentica che, come pastore universale, ha anche – come diceva Gesù – pecore che non sono dell’ovile di casa. Le va dunque a cercare, non ha paura di respirarne gli "odori" a volte non proprio piacevoli, anzi dialoga con loro e, insieme con i suoi collaboratori (non è un caso che per il ruolo fondamentale di segretario di Stato abbia scelto il cardinale Pietro Parolin, un diplomatico di grande qualità ed esperienza che è altrettanto profondamente pastore) espone a tutti le ragioni dei poveri e tesse instancabilmente la tela della pace. Una tela che può assomigliare talvota a quella di Penelope (vedi il caso israelo-palestinese), ma il Papa sa che il Principe della pace, di cui è il rappresentante massimo in Terra, chiede fiducia e pazienza per arrivare al cuore degli uomini. Specie di quelli più potenti. E quando la strada da percorrere passa anche per le cancellerie e i tavoli delle trattative, il pastore Francesco sa trovare le parole e offrire il tavolo di dialogo giusto.
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