Manca, forse, una narrazione adeguata, uno
storytelling accattivante, come si dice adesso. Mancano i volti da mostrare sui giornali, le storie che fanno ribollire di
hashtag i social network e smuovono per un po’ l’opinione pubblica. I poveri per definizione non sono
glamour, affascinanti, e occuparsi di loro non paga politicamente. Continuano a fare "notizia", a catturare l’attenzione e accendere il dibattito un solo giorno all’anno: questo di metà luglio, in cui l’Istat pubblica le rilevazioni sulla povertà in Italia. E così, come una grandinata nel bel mezzo dell’estate torrida, piovono i dati di una realtà che non si vuol vedere: la povertà assoluta nel 2015 è cresciuta ancora, fino a interessare 4,6 milioni di persone nel nostro Paese, ben il 7,6% dei residenti. Un record negativo dal 2005, l’onda lunga di una crisi che non finisce perché inserita in una più grande trasformazione.Come chicchi di ghiaccio sotto i piedi, stride oggi la distanza abissale fra i bisogni urgenti di tanta parte della popolazione e i tempi di reazione del Governo, del Parlamento e di tutta la politica; stride la sottovalutazione di un fenomeno che già gli scorsi anni era ben visibile e sul quale una parte significativa della società civile richiama da tempo l’attenzione. Stride ancora l’ottusità con la quale non ci si accorge che il perno della questione sono i bambini e le famiglie nelle quali vivono.Eppure basta leggerli, i dati, per individuare subito le priorità, per avvertire sulla propria pelle l’urgenza di un intervento troppo a lungo procrastinato. La condizione di povertà assoluta, infatti, cresce in particolare per le famiglie di 4 o più componenti, addirittura dal 6,7% del 2014 al 9,5% dello scorso anno. Già al secondo figlio, insomma, il rischio di cadere in uno stato di miseria si fa molto concreto, con un’incidenza che arriva addirittura al 18,3% in media, quasi una famiglia ogni cinque, per i nuclei con 3 o più minori. Soprattutto al Sud, ma – testimonia quest’ultima rilevazione – ora anche al Nord e in particolare nelle aree metropolitane, là dove la vita risulta più "cara". Questa della povertà assoluta non è nemmeno più una condizione che riguardi solo gli stranieri o i disoccupati da lungo tempo, quanto pure le famiglie con genitori che lavorano (dal 5,2% del 2014 al 6,1% nel 2015). Una povertà che colpisce in particolare i bambini (1 milione e 131mila), i giovani sotto i 34 anni e diminuisce al crescere dell’età, fino – paradossalmente –a raggiungere il minimo per le persone ultra-sessantacinquenni. È la conferma di un sistema previdenziale e di welfare che – in qualche modo – tutela gli anziani, ma prevede poco o nulla per le altre categorie d’età, penalizzando i giovani e contribuendo al calo demografico generale.È di fronte a questo quadro drammatico che non si può non rilevare come il governo – pure finalmente armato della buona intenzione di colmare una lacuna decennale – sia in forte ritardo nella risposta e tuttora sottovaluti le reali necessità. Solo oggi, infatti, la Camera ha approvato la delega che introduce un sistema nazionale di contrasto alla povertà. Dal varo della legge di Stabilità nella quale – dopo anni di insistenze da parte del cartello di associazioni riunite nell’Alleanza contro la povertà – erano stati stanziati i fondi per 1,6 miliardi di euro in 2 anni sono passati già 7 mesi. E quanti altri mesi passeranno prima che dalla norma si arrivi ai decreti delegati e poi all’erogazione effettiva del sostegno monetario e dei servizi di inclusione sociale? In un anno, lo abbiamo visto dai dati Istat, mezzo milione di persone in più è caduta nella povertà assoluta. Ogni giorno di ritardo significa lasciare senza mezzi, senza risposte e senza speranza migliaia di persone in aggiunta ai milioni di persone che già sono in miseria. E i poveri, si sa, hanno questo maledetto vizio di mangiare tutti i giorni. Se ci riescono.Non vale forse tutto questo più di qualsiasi riforma istituzionale?Come può non essere questa la priorità delle priorità per la politica e le burocrazie ministeriali? Come si può non avvertire questa come una "vergogna assoluta"? La strada individuata di un intervento improntato all’universalismo selettivo – con un sostegno mirato anzitutto ai nuclei con figli, alle famiglie monogenitoriali e alle donne in gravidanza, che tiene conto dei carichi familiari e cerca di reinserire al lavoro e nella società chi è rimasto ai margini – è certamente quella giusta. Ma va attuata con urgenza e completata con altri interventi. Anzitutto stanziamenti crescenti nella prossima legge di Stabilità, perché per arrivare a coprire con un intervento minimo l’intera platea dei poveri assoluti (senza occuparsi di persone in povertà relativa, che sarebbe velleitario e forse controproducente) di miliardi ne servono fino a 7, uno solo non basta. E poi una riforma strutturale del fisco che sani finalmente le ingiustizie e tenga in massima evidenza i carichi familiari.I poveri e le famiglie non possono più attendere. Fate presto, facciamo di più.