A un mese di distanza dal disastroso terremoto che ha devastato la Pianura padana, da Modena a Ferrara, da Mantova a Rovigo, è proprio in queste contrade che si ha la fortuna di vedere un’Italia speciale, un’Italia bellissima. L’Italia del coraggio, l’Italia della voglia di rimboccarsi le maniche, l’Italia che vuol ricominciare, l’Italia che non si arrende: non alla paura, non alla perdita delle vite umane, non alle distruzioni impietose di case, paesi, cittadine, fabbriche. E torri, chiese, campanili secolari, tutto ridotto a un mucchio di rovine. È proprio in queste terre, che Benedetto XVI visiterà martedì prossimo, portando il suo paterno conforto, fra questi cumuli di macerie che si ritrova, fra la gente, il meglio del Paese: la speranza e l’orgoglio di non piegare la testa di fronte al disastro causato dalla forza della natura e dall’insipienza dell’uomo. Anche se il cuore sanguina, questi appartengono al non piccolo numero di italiani e italiane che non piangono. Chiedono di essere aiutati, non compatiti. Mentre ancora la terra trema e cadono altri ruderi, mentre diventa sempre meno facile la vita sotto le tende infuocate dall’improvviso irrompere dell’estate afosa della Bassa, si organizzano il più possibile per tornare alla "normalità". Come già in Friuli, nel 1976, dopo il terremoto che fece quasi mille morti e distrusse gran parte della regione, anche nelle zone oggi colpite si riparte dal lavoro e dalle fabbriche. Già si sgombrano le macerie, già parecchie aziende riaprono, dentro, ma ancora più spesso, fuori dei capannoni, si pulisce, si riorganizza, riparte la produzione, tornano al lavoro centinaia di dipendenti, si risponde alle richieste, provenienti da tutto il mondo, che qui si riforniscono di prodotti ad alto valore aggiunto: non solo migliaia di forme del famoso Parmigiano e del Grana Padano, ma anche prodotti biomedicali, frutto di passione ma anche di lavoro ad alto contenuto tecnologico. Una fetta importante del Pil dell’Italia viene da qui, da questa gente che non si arrende e che, con quello che fa, contribuisce in termini tanto significativi a creare la ricchezza di cui poi gode anche tutto il resto del Paese. Sono italiani diversi dall’immagine negativa che di solito si dà di noi: gente che "riaprendo" negozi di fortuna su semplici furgoncini, riprende a vendere ai compaesani generi di prima necessità: ma rilasciando regolari scontrini fiscali. Un’immagine lontanissima da quell’Italia furba e lestofante, "maestra" dell’evasione fiscale, che le cronache (e anche molta letteratura, a volte "facile") rimandano fin troppo spesso. Sono terremotati, questi italiani, oggi sotto i colpi della sventura, che non approfittano nemmeno dei "regali" non richiesti che gli vengono, chissà perché, elargiti: come la possibilità di svolgere in forma ridotta, solo orale, i prossimi esami di scuola (terza media, esami di diploma delle superiori). Questa gente dice: no, grazie, anche sotto le tende, anche nelle nostre aule di fortuna, i nostri esami scolastici saranno uguali a quelli di tutti gli altri: prima gli scritti, poi gli orali. Questa è l’Italia che c’è, ma che resta sempre troppo in ombra. La grande crisi, se sarà superata, lo sarà per merito di italiani e italiane come questi. Non certo di quelli intorno ai quali si avvita la gran parte delle cronache: se e come far cadere il governo in carica, se e come vincere le prossime elezioni (come se fosse questo il modo per uscire dai guai), se e come, all’interno nella nazionale di calcio, volgeranno le sorti del "sacro" ginocchio di Balo o quali altri aneddoti di fondamentale portata saranno rivelati. Questa è la "solita" Italia: che c’è, ma non è quella che conta. Quella che conta è l’altra, quella che vuol esser aiutata, non compatita. A questa Italia che, a meno di un mese dal terremoto, trova la forza di ripartire con tanta dignità, va un grazie gigantesco, il grazie di tutti: anche di quelli che nemmeno si sognano di dirglielo.