giovedì 25 giugno 2015
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Fa uno strano effetto, bisogna ammetterlo, leggere in rapida successione l’Instrumentum laboris del Sinodo di ottobre presentato martedì, i titoli dei giornali di ieri su quello stesso documento (inneggianti ad "aperture" vere o presunte ai divorziati e un po’ anche ai gay) e la catechesi, sempre di ieri, di papa Francesco. Strano perché spiazzante. Un po’ come quando osserviamo il rigore tirato in un angolo, mentre il portiere si tuffa dalla parte opposta. Una sensazione che si prova anche nel mettere a confronto i commenti del giorno dopo sul testo che tra qualche mese farà da base al dibattito sinodale e le parole dette ieri dal Pontefice. I primi tutti centrati sulle esigenze degli adulti, sul loro bisogno (sicuramente legittimo) di sentirsi accolti e non discriminati dopo le scelte certo dolorose che ne hanno segnato la vita personale e familiare. Le seconde che invece hanno completamente ribaltato il punto di vista, mettendo in primo piano – quando si parla di famiglie in sofferenza – non i grandi, ma i bambini e le loro «ferite dell’anima». Dal momento che sono i più piccoli, ha sottolineato Francesco, le prime vittime della «disgregazione» di un nucleo familiare. Un noto cantautore affermava qualche anno fa in una delle sue canzoni che tutto dipende «da che punto guardi il mondo». Il punto dal quale papa Bergoglio guarda alla complessa e delicata questione delle «ferite che si aprono proprio all’interno della convivenza familiare» è evidentemente diverso da quello della mentalità dominante. Ed è proprio qui, al di là di quanto hanno scritto alcuni organi di stampa, la sua vera rivoluzione. Dalla lettera e dalla filigrana della catechesi di ieri emerge, infatti, un elemento che raramente si tende a sottolineare nelle interpretazioni di parte laica del suo magistero. Per Francesco non è scontato che le famiglie debbano per forza sciogliersi nell’acido dei rancori e dei litigi, o più semplicemente delle incompatibilità caratteriali. E se è vero che in un passaggio egli ha ricordato come in alcuni casi (soprattutto quelli di violenza sul coniuge e sui figli) la separazione sia «inevitabile, persino moralmente necessaria», è anche vero che statisticamente parlando questi casi sono fortemente minoritari. Nella stragrande maggioranza i matrimoni finiscono per cause «ancora rimediabili», che però diventano irrimediabili sull’onda di una mentalità che preferisce la scorciatoia dell’eutanasia, anche in campo matrimoniale, alla pazienza della cura e della riconciliazione. Francesco non è certo su questa linea, non è il Papa del "tana-libera-tutti" morale, come qualcuno tende a dipingerlo. Egli al contrario non perde occasione per parlare del peccato e per far riacquisire alla coscienza «anestetizzata» degli uomini e delle donne del nostro tempo la consapevolezza che certi comportamenti costituiscono una violazione del disegno di Dio sull’uomo e dunque, appunto, un peccato. Non si deve confondere. Altro è predicare la misericordia, l’accoglienza e l’accompagnamento di chi è ferito per colpe sue o del coniuge (esigenza ribadita anche nella catechesi di ieri, al punto da sottolineare che non gli piace l’espressione «famiglie in situazioni irregolari»), altro è scambiare questo atteggiamento evangelico con l’accondiscendenza verso l’errore, come si tende più o meno in buona fede a fare in certe traduzioni mediatiche degli insegnamenti del Pontefice. La catechesi di ieri va proprio in questo senso. Un ribaltamento di prospettiva che prende per mano ciascuno di noi e ci porta a guardare in faccia non solo il "diritto" alla felicità degli adulti, ma prima di ogni altra cosa la sofferenza dei bambini causata dall’affermazione egoistica di quel diritto. «Quando gli adulti perdono la testa, quando ognuno pensa solo a se stesso, quando papà e mamma si fanno del male, l’anima dei bambini soffre molto, prova un senso di disperazione. E sono ferite – annota il Papa – che lasciano il segno per tutta la vita». «Sappiamo ancora – chiede Francesco – che cos’è una ferita dell’anima?». Cioè, sappiamo davvero metterci dalla parte dei più deboli? Ecco, questa domanda particolarmente toccante, è la chiave di volta del diverso punto di vista del Papa. Ed è anche il modo più corretto per leggere in profondità l’Instrumentum laboris del Sinodo. Come pure per ripensare certe semplificazioni, che stanno alle parole del Papa come il tuffo del portiere da un lato mentre il pallone va dall’altro.
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