«Ma io cosa ci guadagno?». Quantificare l’interesse. Dare concretezza al vantaggio personale. «Cosa ci guadagno ad adottare un bambino?». «Molti costi, molti fardelli burocratici e scarse soddisfazioni». La risposta torna spesso, triste specchio di un atteggiamento diffuso in cui il tentativo di restringere il grande orizzonte del bene comune nei piccoli confini personali appare pretesa praticata e condivisa. Obiettivo promosso da una società in cui se il dovere è merce poco ambita, al contrario tutti i diritti sono concretamente legittimati in nome di una presunta idea di felicità individuale che oltrepassa qualsiasi prospettiva condivisa.Non c’è da stupirsi allora se il numero delle adozioni è in progressiva diminuzione, mentre il ricorso alla fecondazione assistita sembrerebbe – almeno secondo i dati forniti da alcune associazioni – in continua ascesa. Una coppia ha il diritto di pretendere un figlio, al di là di qualsiasi ostacolo biologico, anagrafico o solo dettato dal buon senso? Sì, la legge lo prevede. L’individualismo che ha forgiato la giurisprudenza creativa avrà forse rimodellato anche la coscienza collettiva, rendendola più sorda all’istinto della solidarietà.
Non è un giudizio sulle persone, ma sui fatti e sulle idee da cui sono generati. Inutile volgere la testa dall’altra parte. La fecondazione assistita rimanda a un concetto di arbitrio autoritario nei confronti del figlio: «Ti pretendo e non mi fermo di fronte a nulla per soddisfare il mio "diritto" di essere genitore». L’adozione – come emerso in questi giorni al convegno dell’Ufficio Famiglia Cei che si conclude oggi a San Giovanni Rotondo – sublima l’apertura alla vita, segnando quel bambino che arriva nella nostra casa con l’abbraccio della gratuità e del dono. Per il credente riverbero della misericordia di Dio. Per tutti amore ancora più generoso e consapevole. Da una parte, c’è la pretesa di governare artificiosamente i rapporti affettivi, strettamente funzionali alla soddisfazione di un bisogno. Dall’altra, la fiducia serena che ci fa comprendere come la vita – la nostra e quella dei nostri figli – non sia proprietà, ma valore da accogliere e tutelare. Rimane da capire perché lo Stato, così sollecito nell’abbattere gli ostacoli alla fecondazione eterologa, non mostri altrettanta solerzia per migliorare pratiche e costi dell’adozione.