mercoledì 23 maggio 2012
COMMENTA E CONDIVIDI
​Una frase, da sola, dice già tutto. «Il vescovo che riceve la denuncia di un abuso deve essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso secondo giustizia». La si trova quasi all’inizio della premessa delle "Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici", pubblicate ieri dalla Conferenza episcopale italiana in ossequio a quanto prescritto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, a ribadire, come davanti a questo «triste e grave fenomeno» è «innanzitutto» di «importanza fondamentale» la «protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi».Qualcuno magari dirà che il documento pubblicato ieri rappresenta, in fondo, solo un "atto dovuto". E che le linee guida non fanno altro che recepire, quasi pedissequamente, le indicazioni del Dicastero dottrinale vaticano – a loro volta traduzione operativa della volontà di Benedetto XVI di "fare pulizia" entro le coordinate di giustizia e misericordia. Vero, in parte, soprattutto se ci ferma alla superficie del testo. Ma assolutamente insufficiente, come lettura, se al contrario si prova a capire le implicazioni e le conseguenze del documento adottato dalla Cei.E qui si torna a quelle parole ricordate all’inizio. Dove, senza mezzi termini né reticenze né possibilità di equivoco, si afferma da che parte la Chiesa, in queste terribili situazioni, si schieri: dalla parte, cioè, delle vittime. Una opzione irrevocabile e definitiva, che ribalta completamente la prospettiva col suo porre in primo piano chi gli abusi li ha subiti e, per questo, al colmo di un crudele paradosso, è stato portato invece a sentirsi "colpevole". È la scelta di una Chiesa che non vuole nascondere e nascondersi, che rifiuta il concetto stesso di rimozione della memoria. Che ha cancellato l’idea che l’istituzione meriti una protezione superiore a quella dovuta alla vittima, che in nome della prima tutela, la seconda possa essere in qualche modo sacrificata.È, insomma, la dichiarazione di una scelta di campo. Scelta coerente, certo, col magistero di Papa Benedetto, ma molto più incisiva a ben vedere di quanto, alla fine, la "tecnicità" richiesta alle Linee Guida avrebbe in sé potuto comportare. Dichiarazione tanto più significativa in quanto, al di là sia delle leggende sulla portata del fenomeno, sia dei numeri concreti citati ieri da monsignor Crociata – 135 casi denunciati in oltre dieci anni – che quelle leggende smentiscono, qui è in ballo il principio fondamentale della difesa dell’innocente. E una sola vittima, sarebbe già troppo, nel contesto della Chiesa. Di qui, insomma, la volontà di ribadire l’ispirazione fondamentale di ogni azione, quasi a ri-dire: la Chiesa è e deve sempre essere casa, prima di tutto, per i più deboli.Allo stesso tempo, è altrettanto importante sottolineare la cura posta alla prevenzione di possibili futuri casi di violenza sui minori. Prima di tutto, con il richiamo inedito alla «rigorosa attenzione allo scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi». E poi, tra l’altro, con l’esortazione a ogni singolo vescovo a trattare «i suoi sacerdoti come un padre e un fratello, curandone la formazione permanente e facendo in modo che essi apprezzino e rispettino la castità e il celibato e approfondiscano la conoscenza della dottrina della Chiesa sull’argomento».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: