C’è qualcosa di sbagliato nelle carceri italiane. Terribilmente e drammaticamente sbagliato. Uno sbaglio che conduce alcuni non alla redenzione e alla libertà, ma alla scelta di morire. L’eccessiva attesa del giudizio e le celle sovraffollate sono problemi gravi e noti. E lo sbaglio, denunciato da cifre sottolineate in rosso, ne è in parte sia la causa sia l’effetto.
Da un lato investiamo tantissimo, 3.511 euro al mese per ogni detenuto. «Investiamo », non «spendiamo». È denaro nostro, di noi contribuenti, che ha come fine la restituzione alla società di uomini capaci di chiudere con il passato, dopo aver pagato per il loro errore, e a dare il proprio contributo al bene comune. Italiani non più da temere ma su cui poter contare. Quei 3.511 euro sono tanti davvero, se si pensa che più di noi, tra i Paesi maggiormente sviluppati, investono soltanto Regno Unito, Nuova Zelanda e Canada. Tutti gli altri di meno. Gli Stati Uniti, con la loro popolazione carceraria sterminata, arrivano ad 'appena' 1.433 euro.
Dall’altro lato, quasi in nessun Paese si muore in carcere come in Italia. Si muore di disperazione. Ci si ammazza. Ogni anno si tolgono la vita 9,1 carcerati ogni 10mila. Tanti o pochi? Gli italiani liberi che si suicidano sono 1,2 ogni 10mila. Dunque il rapporto è di 1,2 a 9,1. In Germania è di 2,5 a 5,5, in Gran Bretagna 1,6 a 8,8. Ogni suicidio è una tragedia di troppo; ma nel nostro Paese i suicidi fuori dalle sbarre sono sensibilmente di meno rispetto all’estero; e quelli dietro le sbarre sensibilmente di più. Perché? E perché ciò accade nonostante tanto denaro investito?
Qualcuno potrà obiettare: sì, è una tragedia, ma una tragedia 'minoritaria', che riguarda una porzione limitata di umanità; e molti carcerati non sono nemmeno italiani. I veri problemi sono altri... Obiezione respinta. Da che cosa si misura il 'tasso d’umanità' di una nazione? Da come vengono trattate le donne, si dice giustamente; dallo spazio che trovano nel mondo del lavoro e in politica, dalla possibilità di costruire una famiglia e avere tutti i figli che desiderano ed essere aiutate (e non solo dal marito) nell’assisterli ed educarli. Giusto. Si dice anche: da come vengono trattati bambini, anziani, infermi e disabili. Insomma i 'meno forti' e autonomi. Giustissimo. Infatti, in genere, i programmi elettorali si occupano di loro, anche se mai abbastanza e sempre con ritrosia ed eccesso di parsimonia, a volte – è un sospetto legittimo – quasi o solo per retorica elettorale.
Ma c’è qualcosa che, per ora, non riusciamo a ritrovare nei programmi dei partiti. È bello ricordarlo con le parole, remote ed autorevoli, di Fëdor Dostoevskij: «Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni». È troppo, allora, chiedere e perfino pretendere che nelle prossime settimane i candidati si assumano precisi impegni per rendere meno infernali le nostre carceri? Per trovare pene alternative alla cella, come quelle che sono state fatte naufragare pochi giorni fa in Parlamento? Per far diminuire quell’osceno spread, quella voragine tra suicidi fuori e suicidi dietro le sbarre? Non tanto per investire meno di quei 3.511 euro a testa, ma per farli fruttare sul serio?
Parlatene. Senza chiedervi se la cosa può portare o togliere voti. Se 'conviene' o no. Parlatene per un solo, semplice motivo: perché è giusto farlo.