Quanti passi avanti per i fedeli laici nella Chiesa negli ultimi 50 anni. Ma anche quanta retorica, pomposa e malinconica. E, purtroppo, non poca paralisi... Ieri papa Ratzinger, in un messaggio inviato a un incontro internazionale dei laici dell’Azione cattolica, è sembrato pensare: da mezzo secolo rilucidiamo il Concilio, per ritrovarlo subito impolverato; no, stavolta gli daremo una mano nuova di vernice. Le sue parole segnano uno scarto: i laici non sono semplici collaboratori del clero nella missione universale della Chiesa; collaboratori formati, educati, vigilati, certificati e a quel punto degni di fiducia. La loro è «un’operosa corresponsabilità». La parola «responsabilità», relativa ai laici, nel Concilio c’è, all’inizio e al termine del passaggio della
Lumen gentium (37) più moderno e – oggi possiamo dirlo – disarmante. Perché lo leggi e pensi che non ci sarebbe da aggiungere nient’altro: «I pastori riconoscano e promuovano la dignità e la responsabilità dei laici nella Chiesa; si servano volentieri del loro prudente consiglio, con fiducia affidino loro degli uffici in servizio della Chiesa e lascino loro libertà e margine di azione». Ai fondatori e presidenti delle grandi aggregazioni laicali è certo capitato di essere cercati per «un consiglio» richiesto «volentieri». Ma a chi vive nelle parrocchie? E possiede competenze e sensibilità che un parroco non sempre può avere? È accaduto e accade davvero? «Anzi – prosegue la costituzione conciliare – li incoraggino perché intraprendano delle opere anche di propria iniziativa (...). In questo modo si afferma nei laici il senso della propria responsabilità». L’evidenza resa palese dal Concilio è che i laici «sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo» (Lg 33). A maggior ragione si comprende perché «i pastori, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità sia di cose spirituali che temporali».«Operosa corresponsabilità»: bellissimo! Non ci sono più io vescovo, io parroco e voi laici: ci siamo noi. Non c’entrano la diversità di ministero, che qui nessuno – e ovviamente non il Concilio – mette in discussione, né il grandissimo rispetto che ogni laico deve a chi, nella comunità, rende presente sacramentalmente il Signore. Con tutto ciò non c’è una «mia comunità» alla quale posso invitarvi a collaborare facendovi un poco di spazio, ma la «nostra comunità» della quale tutti siamo insieme responsabili. L’operosa corresponsabilità taglia netto con ogni tentazione di pensare e agire in termini di potere. C’è stato – e forse c’è – un clero che pensa ai laici come coloro a cui è necessario concedere degli «spazi di potere», di gestione e decisione, se non altro perché il clero scarseggia, non ci sono più abbastanza preti: i laici panchinari, buoni per il secondo tempo o per subentrare agli infortunati. E c’è stato – e forse c’è – un laicato che pensa in modo analogo, sia pure con due esiti opposti. Di qua ci sono i laici convinti che, per ottenere spazio, occorre clericalizzarsi. Pensa, parla, scrivi, comportati come un presbitero, e il clero ti riconoscerà come «uno di loro», si rasserenerà e ti accoglierà. I laici clericalizzati sono in contraddizione con la lettera e lo spirito del Concilio che, al contrario, invita i laici a valorizzare ciò che è loro proprio, un proprio stile, una propria sensibilità; ma possono fare fortuna. Di là, troviamo i laici che cercano non di associarsi e affiancarsi, con operosa responsabilità, ma semplicemente di sottrarre spazi e competenze e ruoli al clero: potere per potere. Costoro fanno fortuna assai più difficilmente, perché il clero si difende; molto più facile è che si trovino banalmente fuori,
out, dalla comunità. Delusi e incattiviti tanto quanto i laici del primo tipo sono docili e, magari solo all’apparenza, morbidi. Benedetto XVI, con due semplici parole, invita a scrollarci definitivamente di dosso entrambe le tendenze, che non fanno crescere la comunità ecclesiale ma la paralizzano, né fanno progredire l’annuncio del Vangelo, ma lo congelano alle esortazioni, agli auspici, a una formazione infinita priva di sbocchi. Non si può credere nell’operosa corresponsabilità e formare i bambini, formare i ragazzi, formare gli adolescenti, formare i giovani, formare i fidanzati, formare le coppie di sposi, formare gli adulti... e magari, verso i 65 anni, allargare le braccia e dire al laico impegnato: adesso sei pronto per assumerti qualche responsabilità, certo se tu fossi un poco più giovane... Un’ipotesi: non è che noi, clero e laici, non abbiamo sufficiente fiducia negli altri, rinunciando all’operosa responsabilità, perché non abbiamo sufficiente fiducia in noi stessi?