Chissà che non sia semplicemente una coincidenza temporale il fatto che la settimana precedente l’odierna partenza del Papa per la visita in Ecuador, Bolivia e Paraguay la Sala Stampa vaticana abbia pubblicato il programma definitivo del viaggio che Francesco farà a settembre a Cuba e negli Stati Uniti. E che sempre in questa settimana i due Paesi finalmente riconciliati grazie alla mediazione del Pontefice e della Santa Sede abbiano annunciato la riapertura delle rispettive ambasciate. Coincidenza o no, infatti, le due notizie (e in modo particolare la prima) offrono un’ulteriore chiave di lettura dell’itinerario che papa Bergoglio percorrerà da oggi a domenica prossima. Non un episodio a se stante, ma una tappa importante e significativa dell’attenzione complessiva del Papa verso il continente che gli ha dato i natali e in cui torna in pratica per la prima volta interamente "sua" dal giorno dell’elezione (la missione brasiliana di due anni fa, anche se convintamente fatta propria, era stata ereditata dall’agenda di Benedetto XVI e comunque si trattava di una Giornata mondiale della gioventù).Attenzione complessiva. Francesco entra in America Latina passando per la "porta stretta" dei tre Paesi più poveri (e per questo rimanda persino il ritorno nell’amata Argentina). Fa seguire questo primo viaggio da un’altra visita in cui per la prima volta un Papa volerà direttamente da Cuba agli Stati Uniti (solo qualche anno fa un’idea del genere sarebbe appartenuta alla fantapolitica). Infine, al culmine del doppio itinerario, mette in programma la tappa in alcuni luoghi-simbolo del potere politico non solo nazionale (il Congresso Usa) e del dialogo tra i popoli (il Palazzo di Vetro dell’Onu). È in un certo senso lo stesso percorso che il Pontefice sta compiendo con i suoi spostamenti in Europa. Giungere attraverso le periferie (Lampedusa, Albania, Bosnia) a rappresentare le esigenze degli ultimi ai potenti (Parlamento di Strasburgo), per promuovere pace e riconciliazione. Analogamente avviene per le Americhe, continente unico e doppio allo stesso tempo. Nella visione di Francesco – pur nella ineludibile diversità, di storia, cultura, lingua e confessioni religiose – le due parti del Nuovo Mondo non sono affatto vocate alla contrapposizione, ma al dialogo (la vicenda Usa-Cuba lo dimostra). Non in rapporto di dipendenza economica (e spesso anche politica) del Sud rispetto al Nord, ma in cerca di nuovi e giusti equilibri. O meglio, di un’efficace sintesi tra la lotta alla povertà e ai mali endemici (narcotraffico
in primis) e uno sviluppo sostenibile, partecipativo e democratico, specie laddove fino a ieri avevano spadroneggiato sanguinose dittature e, oggi, per converso, si tende a inseguire le sirene di un certo populismo. Così, mentre ancora non sono del tutto estinti gli ultimi epigoni della cosiddetta "dottrina Monroe", che considerava l’America Latina come «il cortile di casa» degli Stati Uniti, lo sguardo di papa Francesco alla realtà continentale è radicalmente innovativo. Anche a partire dalla scelta delle mete di viaggio.Visitando nei prossimi giorni (e in parte anche a settembre) quel «laboratorio latinoamericano», dove – sono parole del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin – «si stanno sperimentando nuovi modelli di partecipazione e di democrazia», egli incontrerà i movimenti popolari, si fermerà in carcere tra i dimenticati e nelle baraccopoli tra gli emarginati, si calerà nella religiosità soprattutto mariana del popolo, ritroverà l’abbraccio dei giovani, come a Rio de Janeiro del 2013. E tutte queste voci, tutte queste aspirazioni e speranze le porterà all’attenzione di quelli che hanno in mano le leve del potere economico e politico. Perché è dall’incontro tra i diversi livelli, come più volte Francesco ha ribadito, che può nascere davvero qualcosa di nuovo. E perciò il modo di viaggiare e di comunicare del Papa diventa un laboratorio nel laboratorio. Che può dare a quello (latino)americano la spinta decisiva per produrre i frutti sperati.