Carissimi, iniziamo il X Convegno internazionale in ricordo di Marco Biagi con la celebrazione eucaristica, come a volerne sottolineare il fatto che nella fede cristiana Marco non vive semplicemente nel ricordo, ma è vivente nel Signore, è in comunione vera con noi, in particolare con i suoi cari e intercede presso il Signore perché il loro e il nostro cammino sia sostenuto e confortato dalla speranza e animato da quei valori per i quali ha dato la vita.L’eucaristia è memoriale del mistero di morte e di risurrezione di Gesù; questa caratteristica di memoriale, cioè di un evento del passato che mentre viene ricordato acquista un oggi, viene in un certo senso partecipata alla nostra commemorazione: c’è un “oggi “ nell’evento che è importante cogliere e attuare.La morte e la commemorazione del prof. Marco Biagi cade in un giorno particolarmente significativo per i cristiani: la festa di S.Giuseppe. Ci sono dei tratti della figura di S. Giuseppe che ci aiutano a radicare in noi il messaggio che Marco Biagi ci ha trasmesso con la sua testimonianza di vita e il suo insegnamento , suggellati della sua cruenta morte.Permettete che parta proprio da questi tratti.Abbiamo ascoltato le parole del Vangelo: “ Giuseppe, figlio di Davide non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo….Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.”.Queste divine parole ci introducono dentro all’interiorità di Giuseppe, dentro alla sua coscienza. Il Concilio Vaticano II definisce la coscienza: “ il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo” ( GS, n.16).Giuseppe è l’uomo giusto; l’uomo fedele alla voce della coscienza; l’uomo dell’obbedienza della fede, che si manifesta nel prendersi cura di Maria e del figlio che porta in grembo, Gesù. Prendersi cura della persona vuol dire concretamente prendersi a cuore le sue esperienze fondamentali: la sua formazione, i suoi affetti, il lavoro, la cittadinanza. Pensiamo allora che cosa ha significato per Giuseppe la vita con Maria e Gesù a Nazaret. Vorrei esprimerlo sinteticamente con le memorabili parole di Paolo VI nel suo discorso a Nazaret il 5 gennaio 1964, quando riconosce nell’esperienza della santa famiglia la piena comprensione di valori come il silenzio, gli affetti e il lavoro. «Oh! dimora di Nazaret, casa del figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo, nostro Signore» . Il lavoro è stato esperienza caratterizzante la vita e la missione di San Giuseppe. Per questo la Chiesa , nel momento in cui il lavoro diventava elemento di definizione personale,di appartenenza sociale e di progettualità politica e nasceva anche un diritto del lavoro, non esitava a proclamare San Giuseppe patrono dei lavoratori.Prendersi cura della persona significa prendersi cura del lavoro come sua esperienza fondamentale, come suo bene indispensabile. Nel lavoro e mediante il lavoro la persona umana cerca la realizzazione di se stessa, il compimento della sua vocazione professionale, la costituzione dei rapporti sociali, la promozione del bene comune.Punto centrale del Magistero della Chiesa è che il fondamentale valore del lavoro è di natura etica non economica.; questo significa che ,alla fine, ogni lavoro ha come suo scopo la persona che lavora, non concepita astrattamente,ma all’interno delle sue relazioni fondamentali.Credo che questi tratti legati alla figura di San Giuseppe, uomo giusto, uomo dell’obbedienza della fede, della coscienza, della capacità del prendersi cura della persona nelle dimensioni fondamentali della vita, tra cui il lavoro, li vediamo testimoniati da Marco Biagi e costituiscono parte integrante dell’eredità che ci ha lasciato..Biagi è stato un testimone della fede. Considerando la sua professione, credo che rappresenti un esempio di «laicità della fede», di una fede, cioè, vissuta da laici, da laici che in ragione della fede si sono liberati dai condizionamenti ideologici e dalle loro servitù, da laici che hanno perseguito un senso della giustizia non come ordine formale ma come strumento del bene comune, da laici che vivevano una consapevole opzione per i ceti e le figure sociali meno difese.Biagi è stato figura eminente di quel filone accademico giuslavorista italiano, a cui, credo, dobbiamo riconoscere di avere intuito la configurazione morale delle istituzioni democratiche, di avere operato cioè nella convinzione che la democrazia si alimenta di valori che da se stessa non è in grado di creare. Proprio per questo l’ambito accademico, anche nella forma degli studi comparati sviluppata da Biagi, è divenuto uno dei luoghi più esposti del riformismo, dell’invenzione sociale, della resistenza alla violenza. Biagi era consapevole che la sua riflessione accademica lo esponeva al rischio della vita, ma fu fedele agli ideali che lo ispiravano. Ciò che ci ha lasciato è certamente un patrimonio culturale che in questa occasione verrà ricordato, ma è soprattutto un compito morale e – permettetemi di dire – anche spirituale in ordine al nostro popolo e allo sviluppo dell’unità del nostro continente.Mentre eleviamola nostra preghiera per Marco Biagi e in comunione con lui, gli chiediamo di intercedere presso il Signore per noi, perché ci prendiamo cura dell’uomo nella concretezza del suo lavoro in tutte le dimensioni fondamentali che esso racchiude.Vogliamo rinnovare il nostro affetto e la nostra vicinanza alla Prof.ssa Marina Orlandi Biagi e ai famigliari, che più di altri, portano con sé la ferita aperta della sua morte, nella consapevolezza che quanti l’hanno accompagnato nella vita fino alla fine più di tutti possono aiutarci a capire ciò che oggi è necessario per tenerne viva la memoria.
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La speranza della fede non è qualcosa che possiamo creare e gestire con le nostre sole forze, quanto piuttosto Qualcuno che viene a noi, trascendente e sovrano, libero e liberante per noi