Lo chiamano "rimborso", ma è la solita richiesta di poter pagare i "donatori" di gameti: si usa un’espressione diversa per non dire che si vuole aprire anche in Italia al commercio di ovociti e spermatozoi, come avviene in altri Paesi alimentando il fiorente mercato della fecondazione assistita, in particolare dell’eterologa, quella in cui i gameti di uno o di entrambi gli aspiranti genitori sono di persone estranee. E quindi bisogna procurarseli, di solito dietro compenso economico, offerto sotto mentite spoglie.
Un "rimborso", spesso con somme forfettarie: 750 euro in Gran Bretagna, 900 circa in Spagna, Paese da cui nel 2016 l’Italia ha importato circa 6mila criocontenitori di ovociti, corrispondenti a un numero di ovociti fra 12mila e 36mila, che invece non arrivano dalla Francia, dove l’eterologa è consentita solo in centri pubblici e per il rimborso bisogna presentare la documentazione delle spese sostenute. Si tratta di cifre importanti per le donne più bisognose: donne giovani (altrimenti gli ovociti sono inutilizzabili), a volte studentesse, spesso straniere, disoccupate o con lavoro in nero, che faticano ad arrivare a fine mese.
Parliamo di ovociti perché è relativamente più semplice trovare donatori di spermatozoi, vista la facilità con cui si possono raccogliere, mentre è molto più complicato procurarsi gameti femminili: per produrne in numero tale da poterli "donare" le donne devono sottoporsi a stimolazioni ormonali e a un intervento chirurgico, procedura che implica rischi. Perché farlo, addirittura gratis?
L’unica forma di donazione praticabile è il cosiddetto egg sharing, ottenere cioè ovociti da donne che, dopo essersi sottoposte a procedure di fecondazione assistita e aver avuto i figli desiderati, cedono ad altre i propri gameti già prodotti, in sovrannumero, destinati altrimenti a essere distrutti o comunque inutilizzati.
La richiesta di "rimborso" per "donatori" italiani arriva ora da un tavolo di esperti di Procreazione medicalmente assistita (Pma), istituito alla Conferenza Stato-Regioni e coordinato da Carlo Foresta, professore di Endocrinologia dell’Università di Padova. I tecnici vogliono sollecitare la Commissione Salute della Conferenza delle Regioni «a voler dare indicazioni precise sulla quantificazione del rimborso» ai donatori di gameti italiani, «al fine di ridimensionare il tuttora quasi totale (95%) ricorso a Banche estere per l’acquisizione di gameti, considerando peculiare che in questi Paesi una diversa considerazione del rimborso rappresenta una valida incentivazione alla donazione».
In altre parole: per l’eterologa importiamo gameti da quei Paesi che ne hanno più che a sufficienza, e nei quali, a differenza che da noi, non hanno problemi a dare un "rimborso", perché sanno che rappresenta un notevole incentivo a "donare". E quindi perché non "rimborsare" anche noi? In questo modo, secondo gli esperti, si eviterebbero i lunghi viaggi a cui sono sottoposti i gameti congelati, e anche le «perplessità da parte delle coppie che ricevono gameti di nazionalità diversa dalla famiglia di origine». Cioè, il problema non sarebbe avere un figlio geneticamente legato a uno/una sconosciuto/a quanto piuttosto avere un figlio geneticamente legato a una persona di una nazionalità diversa dalla propria. "Prima gli italiani", insomma, vale anche per i gameti?
«Trovo condivisibile l’appello sul tema di un rimborso alle donatrici e la sollecitazione affinché si definisca al più presto questo aspetto. Mi sento di farlo mio», ha risposto l’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera, evidentemente disponibile a risolvere così il cuore del problema: trovare donne italiane disposte a cedere, dietro compenso, i propri ovociti.
Va ricordato che in Italia è fermo dal febbraio 2016 presso la Presidenza del Consiglio – con Matteo Renzi prima e Paolo Gentiloni poi – l’iter di recepimento delle normative europee necessarie per regolamentare la selezione dei donatori di gameti (quali visite mediche effettuare, quali test genetici...): uno stop durato sino alla fine della scorsa legislatura, nonostante le ripetute sollecitazioni del Ministero della Salute, e nel silenzio complice degli operatori del settore e delle associazioni che tanto si erano adoperate prima, presso i tribunali, per eliminare il divieto dell’eterologa nella legge 40, tolto dalla Consulta nel 2014.
Senza questa regolamentazione il Ministero della Salute non può far nulla: non si possono infatti raccogliere gameti se non si sa come individuare i donatori. Anche con il governo penta-leghista non si hanno notizie sull’iter della procedura: è possibile che nel frattempo dall’Ue siano partite le procedure di infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato recepimento delle direttive collegate. Intanto diverse Regioni e centri per la Pma si sono organizzati per importare i gameti e spingono per poter pagare chi cede i propri gameti in Italia.
Gli operatori della Pma chiedono iniziative a livello regionale, ma dovrebbero sapere che per introdurre i "rimborsi" è necessario modificare il decreto legislativo 191/2007, e quindi c’è bisogno di un passaggio parlamentare. Non solo: finché non è sbloccato il recepimento delle direttive europee anche volendo non si può stabilire alcun "rimborso", in mancanza di una legge che preveda criteri per selezionare i donatori di gameti. Quali spese mediche "rimborsare" se non si sono stabiliti gli esami medici da effettuare?
Ma soprattutto gli esperti della Pma dovrebbero spiegare per quale motivo, invece, i donatori viventi di organi o tessuti – per esempio reni e midollo –, cioè chi veramente a titolo gratuito dona parti del proprio corpo per salvare vite umane, non dovrebbe essere "rimborsato". A meno di voler mettere a punto un "listino prezzi" a seconda delle parti del corpo cedute: cosa è giusto "rimborsare", e cosa no, monetizzando organi, tessuti e cellule a seconda del valore di mercato e della quantità. Un surreale commercio del corpo umano, "un tanto al chilo".