Nonostante le diverse pronunce costituzionali che hanno aperto uno squarcio nella legge 40 del 2004, che regola la Procreazione medicalmente assistita (Pma), l’embrione deve essere tutelato. Lo affermano a chiare lettere le linee guida sulla norma pubblicate recentemente con decreto del ministro della Salute, il cui ultimo capitoletto – certamente destinato a far discutere – s’intitola “Misure di tutela dell’embrione”.
Ribadendo nella sostanza un caposaldo della legge 40, ovvero quello per cui – salve ben circoscritte eccezioni – scopo dell’embrione è quello di nascere, le linee guida qui passano in rassegna le principali sentenze della Consulta sul tema, disciplinando per esempio a chi tocchi pagare la conservazione degli embrioni, nel caso in cui non vengano immediatamente impiantati: per il primo anno alla clinica, e per quelli a venire dalla coppia che li ha prodotti.
Una volta fecondato l’ovulo, il consenso alla procreazione medicalmente assistita non può essere revocato. Come a dire: una volta generato, l’uomo in fieri deve essere tutelato. Lo dimostra un’altra disposizione “vivente” della legge, secondo cui non possono essere distrutti né destinati alla ricerca scientifica nemmeno i feti “scartati” dalla cosiddetta selezione pre-impianto (resa possibile dalla sentenza costituzionale 229/2015), salvo che il loro studio preveda interventi terapeutici, volti dunque allo sviluppo del feto. Qui l’attuazione concreta della legge mostra evidente lo squarcio della Consulta, dato che – secondo la formulazione originaria della norma – nel momento in cui un embrione veniva a esistere il suo destino era la nascita. Ora, invece, è stata resa possibile una situazione di compromesso: da un lato, in alcuni casi è possibile dar vita a embrioni soprannumerari (cioè non necessariamente destinati all’impianto, dunque alla nascita), mentre dall’altro si afferma che queste vite umane embrionali – anche se non destinate allo sviluppo durante una gravidanza – non possono essere soppresse. Con tutti i problemi del caso (per esempio, quello dei costi di conservazione).
Le nuove linee guida puntano molto anche sull’opportunità di un’assistenza psicologica alle coppia che decidono di attuare la fecondazione medicalmente assistita, sul presupposto per cui «l’infertilità/sterilità sono condizioni potenzialmente in grado di compromettere la qualità di vita delle coppie che non riescono a realizzare il proprio desiderio di genitorialità». Da qui, il testo ministeriale dispone che a tutte le coppie sia offerta la possibilità di un «supporto psicologico [...] in tutte le fasi [...] e, eventualmente, anche dopo che il processo di trattamento è stato completato, a prescindere dall’esito delle tecniche applicate».
Sempre su questa dimensione, il documento considera anche l’ipotesi in cui il tentativo di procreazione fallisca, sottolineando che – in questi casi – il supporto psicologico a volte «è in grado di aiutare alcuni pazienti ad accettare l’idea di non avere bambini».
Tra le “istruzioni per l’uso” emanate dal Ministero viene ribadito anche il principio di gradualità della fecondazione assistita, che – a parità di risultato ragionevolmente conseguibile – impone di scegliere sempre la tecnica meno invasiva. In considerazione viene pure la fecondazione eterologa, per l’accesso alla quale vengono ribaditi e precisati i due requisiti cardine introdotti dalla Consulta 10 anni fa: la diagnosi di una patologia «che sia causa irreversibile di sterilità/infertilità assolute» e «il difetto di altri metodi terapeutici». Spazio trova pure il consenso informato, ormai caposaldo di ogni scelta e presupposto di ogni azione medica.