La bella notizia è che si può diventare mamme dopo un cancro al seno, senza maggiori rischi di ricadute, né pericoli per il bambino. A dirlo è uno studio internazionale coordinato dall’Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova e supportato da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. Questo lavoro, che è stato presentato nei giorni scorsi nel corso del congresso mondiale sul carcinoma mammario che si è tenuto in Texas e pubblicato sulla rivista “Jama”, è importante perché fino ad ora molti medici suggerivano di non avere gravidanze alle donne operate con alterazioni del gene Brca.
«Questi dati dimostrano che, dopo un trattamento appropriato e un periodo di osservazione sufficiente, la gravidanza non dovrebbe essere più sconsigliata a donne giovani con un tumore al seno e mutazione Brca, perché è possibile e sicura» ha spiegato Matteo Lambertini, professore associato presso l’Università di Genova e oncologo medico all’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, coordinatore dello studio insieme a Eva Blondeaux, oncologo medico presso l’Unità di Epidemiologia clinica del San Martino. Le donne italiane con “mutazione Jolie”, quella per cui l’attrice americana si è sottoposta a mastectomia preventiva, sono il 12% delle oltre 11mila donne in età fertile che ogni anno si ammalano di tumore al seno nel nostro Paese. Allo studio hanno partecipato 78 centri fra i più importanti al mondo. Sono stati raccolti i dati di 4.732 donne che hanno ricevuto entro i 40 anni una diagnosi di carcinoma mammario con mutazione Brca. I geni Brca normalmente controllano la proliferazione cellulare e la riparazione di tratti cromosomici danneggiati, funzioni che vengono perdute in caso di mutazione. Ecco perché le persone che ereditano questa mutazione hanno un’elevata possibilità di ammalarsi di cancro, in particolare alla mammella e all’ovaio. La ricerca ha dimostrato che dopo il completamento delle cure ed entro dieci anni dalla diagnosi di tumore, oltre una donna su cinque ha avuto una gravidanza, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di tre anni e mezzo. Delle 659 donne che l’hanno portata a termine, pari al 79,7% del totale, il 91% ha avuto un parto a termine e il 10% ha avuto gemelli. Rispetto alla popolazione generale non si sono osservati tassi più elevati di complicazioni in gravidanza o di rischio di malformazioni fetali, né differenze significative nella recidiva tra le pazienti che hanno avuto o meno una gravidanza al termine delle cure oncologiche. «Poter coltivare la speranza di costruire una famiglia in futuro, dopo il tumore – ha sottolineato Lambertini – è di grande aiuto per le pazienti perché consente loro di accettare meglio la malattia e le terapie: la consapevolezza di un domani possibile ha un ruolo significativo nel processo di guarigione». Si tratta di risultati rilevanti se si considera che il numero di giovani donne colpite da tumore della mammella prima di aver avuto un figlio è in aumento, a causa anche della tendenza a ricercare la prima gravidanza in età sempre più avanzata. «Questo lavoro è un punto di partenza per studiare l’impatto dei nuovi trattamenti oncologici sulla fertilità e sulla possibilità di avere una gravidanza senza rischi» ha concluso Lambertini. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il team degli oncologi del San Martino di Genova