«La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo della vita umana in ogni momento, ma lo deve fare soprattutto quando il suo valore è più messo in discussione sia da una cultura ispirata da un individualismo senza limite etico, che trasforma ogni desiderio in diritto, sia da una legislazione che non la difende come valore assoluto da proteggere sempre. È la situazione che stiamo vivendo in Spagna con l’approvazione della legge sull’eutanasia». Monsignor Enrique Benavent Vidal, vescovo di Tortosa e presidente della Commissione per la Dottrina della Fede della Conferenza episcopale spagnola (Cee), analizza l’istruzione pastorale «Un Dio di vivi» sull’accompagnamento alla morte e il lutto. Ha redatto il documento pubblicato a dicembre dai vescovi, coinciso con il via libera della Camera bassa alla legge che depenalizza l’eutanasia. L’ultimo passaggio, previsto entro gennaio al Senato, farà della Spagna il sesto Paese al mondo – dopo Olanda, Belgio, Lussemburgo, Canada e Nuova Zelanda – a riconoscere la morte assistita come un diritto della persona, cui corrisponde per il servizio sanitario il dovere di erogarla come prestazione.
La Cee ha criticato l’iter come «accelerato in modo sospetto». Perché?
Questa legge comporta una frattura dei valori che per secoli hanno ispirato la nostra civiltà e che ci hanno aiutato a crescere in umanità, nella cura verso chi soffre, nell’assistenza agli ammalati. Si è approvata senza un dibattito sociale sereno e obiettivo fra tutti gli agenti coinvolti, e in un tempo di pandemia in cui la società pone l’attenzione su altri problemi. Né la situazione né l’urgenza sociale giustificavano una simile rapidità.
Qual è il giudizio dei vescovi su una normativa che, secondo recenti sondaggi, è avallata dall’84% degli spagnoli?
Noi vescovi la consideriamo particolarmente grave perché introduce una frattura fra i valori morali e la legge, un cambiamento nelle finalità dello Stato, il cui primo dovere è proteggere la vita di ogni essere umano. Questa legge avrà conseguenze imprevedibili poiché contribuirà a diffondere l’idea che, quando una persona si trovi nelle condizioni di una vita socialmente considerata come non meritevole di essere vissuta, si promuoverà l’eutanasia per 'risolvere il problema'. Coinvolge tutti nell’insicurezza sul fine vita. Per questo, nell’ipotesi che i dati sull’opinione pubblica siano veri, la Chiesa non è tenuta a dire sempre ciò che la maggioranza vorrebbe ascoltare ma ad annunciare il Vangelo della vita.
La Chiesa iberica pubblica una nota pastorale sull’accompagnamento alla morte. Il vescovo Benavent: siamo minoritari, ma non per questo dobbiamo pensarla come tutti Benavent Vidal
Quali riflessioni etiche e morali sono alla base della nota pastorale?
La vita è un dono che abbiamo ricevuto e che dobbiamo proteggere in modo assoluto, è sacra e non può dipendere da nessuno, né può essere valutata in funzione di altri scopi o interessi. Quando si introducono eccezioni a questo principio per giustificarne l’eliminazione, all’inizio come alla fine, si entra in una deriva che ci mette tutti a rischio, perché un’eccezione porta a un’altra. D’altra parte, la dignità della vita non può dipendere della sua 'qualità', che è una percezione soggettiva e può portare a decisioni dalle conseguenze irreversibili.
Cosa stiamo apprendendo dalla pandemia sull’esperienza della morte?
C’è una trasformazione che viene da lontano: la secolarizzazione nel modo di intendere la vita ha portato a quella nel modo di vivere la morte. Ma in questi momenti dolorosi molti hanno chiesto l’accompagnamento della Chiesa, dunque anche in una società fortemente secolarizzata come la nostra c’è il vivido desiderio di Dio nel cuore dell’essere umano. Molti restano insoddisfatti dai tributi funebri nei quali Dio è il grande dimenticato e non c’è un momento di preghiera per i defunti, come se con la morte finisse tutto. Dobbiamo imparare a proporre la fede come fonte di conforto e di speranza, perché è la porta per la vita eterna.
La pandemia evidenzia ancora di più la fragilità degli anziani, che muoiono soli. Come vanno accompagnati?
La fragilità è una condizione umana, che con gli anni e l’indebolimento della salute si fa più evidente. Ma dobbiamo educarci ad accettarla. Il problema non è la fragilità in sé, bensì la maniera di affrontarla: quando confidiamo in Dio, quando sentiamo la vicinanza e l’appoggio dei nostri cari, quando abbiamo la certezza che nei momenti difficili siamo sostenuti e assistiti, quando ci apriamo alla grazia di Dio che riceviamo nei sacramenti, possiamo vivere ringraziando anche nel pieno della sofferenza, e non disperiamo. Questo dev’essere l’obiettivo di ogni accompagnamento, da realizzare con delicatezza e affetto.
Quale dev’essere l’approccio pastorale della Chiesa nell’ultimo tratto della vita?
La Chiesa non deve dimenticare gli ammalati e gli anziani. Dobbiamo valorizzare quanto hanno fatto per gli altri e per la Chiesa, evitandogli la sensazione che in questa tappa siano inutili e nessuno li voglia. Abbiamo la responsabilità di aiutarli a trovare un significato, perché non perdano la gioia, la speranza e la gratitudine a Dio per tutto ciò che hanno ricevuto. Come Chiesa, dobbiamo avere cura della loro fede e della loro vita cristiana. Un malato che vive con speranza di credente la sua condizione è un autentico modello di santità, un santa 'della porta accanto'.
Il Comitato Onu sui Diritti delle persone disabili considera che la legge sull’eutanasia comporti «una svalutazione delle persone disabili » e che il testo «discrimina e stigmatizza » queste persone. Come evitare che si considerino sacrificabili i più vulnerabili?
Queste leggi nascono da una concezione puramente utilitaristica della vita e, per di più, basano la dignità della persona su alcuni parametri, in modo che chi non li raggiunge arriva a pensare che la sua esistenza non valga la pena. Questa è discriminazione. Chi determina a partire da quali parametri è degna la vita umana? Il potere politico? L’opinione pubblica, così facilmente manipolabile? Il medico che ti è toccato in sorte al momento della malattia? L’unico modo per cui i più vulnerabili non siano considerati sacrificabili è non ammettere alcuna eccezione che giustifichi l’eliminazione della vita, né all’inizio né alla fine.
Lo stesso Comitato Onu considera «sconcertante che, proprio quando è in via di approvazione un progetto di riforma della legislazione civile e processuale per porre fine alla sostituzione delle persone disabili nell’adozione di decisioni, come la sterilizzazione, si approvi una normativa che consente tale sostituzione in una decisione così grave come porre fine alla vita». Cosa ne pensa?
La cultura attuale è profondamente contraddittoria. Questo è un esempio, ma ce ne sono altri: mentre si liberalizza l’aborto si tollera la maternità surrogata o si promuove la fecondazione artificiale. Si è smesso di considerare la persona come un valore assoluto, trasfor-mandola in un oggetto di cui disporre secondo la propria volontà. Se a ciò aggiungiamo l’idea che ogni desiderio debba convertirsi in diritto e dimentichiamo che il fatto che sia possibile non lo rende eticamente accettabile, ne vediamo le conseguenze.