Come si può fermare il ricorso all’estero alla maternità surrogata, vietata nel nostro Paese, da parte di coppie italiane? Con una modifica all’articolo 12 della legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita, lo stesso che contiene il divieto penale di una pratica che secondo la Corte costituzionale «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane» (sentenza n. 272 del 2017, ripresa nella sentenza 33 del 2021). È la proposta al centro del disegno di legge presentato al Senato da Isabella Rauti e Lucio Malan, entrambi esponenti di Fratelli d’Italia (sottosegretario alla Difesa la prima, capogruppo a Palazzo Madama il secondo) che propongono di estendere la pena già prevista dalla legge – la reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa da 600.000 a un milione di euro – «anche se il fatto è commesso all’estero». La proposta di legge ricalca quella adottata nella scorsa legislatura in Commissione Giustizia alla Camera come testo base, convergenza delle proposte di Giorgia Meloni e Mara Carfagna con il sostegno di FdI, Forza Italia e Lega, avversate da M5s e Pd. La proposta di Rauti e Malan vuole colpire la «diffusione del cosiddetto turismo procreativo, cioè di quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita – si legge nell’introduzione del disegno di legge –. Le pratiche della surrogazione di maternità costituiscono un esempio esecrabile di commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche, che sono trattati alla stregua di merci. Ciononostante, il ricorso a queste pratiche è in vertiginoso aumento e la maternità surrogata sta diventando un vero e proprio business che, tanto per fare un esempio, in India vale oltre 2 miliardi di dollari l’anno». La pratica dell’utero in affitto è diffusa e legale anche in altri Paesi, come Ucraina, Stati Uniti, Canada, Georgia e persino in Inghilterra, dov’è previsto un preciso regolamento per i contratti di surrogazione, ma in India – insistono i due proponenti – «le “volontarie”, reclutate nelle zone più povere, “producono” più di millecinquecento bambini all’anno per assecondare la domanda che viene dall’estero, attirata dai prezzi bassi, “appena” 25.000/30.000 dollari rispetto ai 50.000 che si spendono negli Stati Uniti d’America. In India, le volontarie che entrano nel circuito legale delle cliniche per la maternità surrogata guadagnano tra gli 8.000 e i 9.000 dollari a gestazione, una cifra che corrisponde a dieci anni di lavoro di un operaio non specializzato, mentre quelle che ne rimangono al di fuori sono reclutate da veri e propri “scout”, attivi nelle zone più povere, sono pagate molto meno – da 3.000 a 5.000 dollari – e sono costrette a firmare dei contratti che non prevedono alcun supporto medico post-parto». Negli Stati Uniti invece «il business della maternità surrogata sta aumentando a ritmo esponenziale, con un numero di nascite superiore a duemila ogni anno, rispetto alle quali addirittura si dà agli aspiranti genitori la possibilità di scegliere alcune caratteristiche base del nascituro». Si tratta «di un banale mercimonio di madri e di bambini» da impone «di condannare la diffusione di tali pratiche». Il problema è che «negli ultimi anni i giudici italiani hanno dovuto confrontarsi con il fenomeno del ricorso alla maternità surrogata all’estero. Appare evidente come non sia più possibile lasciare i tribunali soli davanti alle problematiche che sempre più spesso si stanno determinando a causa del ricorso da parte di cittadini italiani a pratiche di surrogazione di maternità effettuate all’estero, e quanto sia opportuno che la normativa nazionale sanzioni simili pratiche, esattamente come sono sanzionate se commesse in Italia, con ciò ribadendo in modo chiaro la nostra contrarietà allo sfruttamento e alla commercializzazione di fatto di donne e di bambini». Bisogna dunque colmare «un vuoto normativo» introducendo «la punibilità del reato anche quando lo stesso sia stato commesso in un Paese straniero».
Il deposito del disegno di legge al Senato giunge pochi giorni dopo l’impegno della ministra per la Famiglia e le Pari opportunità Eugenia Roccella a «rendere il reato di utero in affitto universale, alzando le pene in modo che sia perseguito anche all’estero: questo – aveva dichiarato pochi giorni fa la ministra – è un intervento che porteremo avanti. Dobbiamo combattere il mercato transnazionale della maternità e del corpo femminile, l’opinione pubblica deve essere cosciente. Ci deve essere l’interesse supremo del minore, invece si fanno quelli degli adulti che hanno sottoscritto un contratto. C’è libertà economica e liberismo ovvero c’è il libero mercato del corpo. Nel nostro Paese c’è una grande tradizione solidaristica per la donazione degli organi senza alcun rimborso, non si può cambiare quando si parla di genitorialità».
Contro la proposta Rauti-Malan sono scese in campo +Europa, partito con una componente radicale, e l’Associazione Luca Coscioni, anch’essa di matrice radicale: se per la prima – per la voce di Yuri Guaiana, componente della segreteria – il ddl è «propagandistico, privo di fondamento giuridico, inapplicabile, irragionevole e crudele», a parere dell’avvocato Filomena Gallo (Coscioni) si tratta di un provvedimento «giuridicamente inattuabile: una legge con questo testo verrebbe subito impugnata perché non tiene presente il principio della doppia incriminazione. Per punire in Italia un reato compiuto in un altro Paese deve essere considerato un fatto illecito anche lì. È alla base del diritto. Prevedere un reato universale senza il rispetto dei requisiti necessari processuali non ha alcun senso giuridico». Da un altro giurista come Domenico Menorello, portavoce del forum «Sui Tetti» tra alcune decine di associazioni laicali di ispirazione cristiana, arriva l’opposta opinione secondo la quale il ddl «va nella direzione del rispetto per la vita e per le donne». In una nota firmata anche da Emmanuele Di Leo, presidente della ong Steadfast, si legge che, «si sta formando un vero e proprio mercato basato sulle difficoltà di quelle donne che vivono in condizioni socio-economiche e culturali disagiate, spesso non in grado di comprendere i contratti, riconoscere pienamente i rischi dei processi di maternità surrogata, senza dimenticare la sfera dei diritti di queste persone. Condividiamo perciò le battaglie di molte esponenti del femminismo che da tempo si sono espresse apertamente contro questa nuova grave forma di schiavitù, come dimostra la petizione online contro l'utero in affitto lanciata nel 2021 da donne socialmente impegnate come Terragni, Izzo, Tamaro, Melandri e a cui aderirono anche vari esponenti della sinistra come Zingaretti, Renzi e Di Maio. La nuova proposta di legge di FdI – spiega la nota – offre anche un sostegno ai tribunali, dal momento che negli anni passati, in cui vi era sostanzialmente una vacatio normativa dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 31 marzo 2022, la questione era lasciata nelle mani dei giudici, mentre ora si apre la possibilità di normare una giungla di ritenuti diritti per chi è in posizioni abbienti, che si risolve in realtà in un inaccettabile mercimonio del corpo delle donne e della vita nascente».
Al Senato il testo di Isabella Rauti e Lucio Malan (FdI) per estendere le pene previste per chi ricorre all'utero in affitto in Italia alle coppie che si rivolgono al mercato di altri Paesi
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